Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Dopo l’esordio folgorante con District 9 e la conferma delle proprie capacità nel reinterpretare la sci-fi con Elysium, per Neill Blomkamp non c’è due senza tre: ancora un film di fantascienza urbana. Anche questa volta tutto parte da un cortometraggio, che risale addirittura al 2004, dove era già stata introdotta la figura di questo androide con sentimenti umani. Impossibile non constatare subito quanto Chappie, il robot protagonista del film, debba molto del proprio aspetto all’animazione giapponese: un po’ Appleseed e un po’ Patlabor, Chappie è comunque un personaggio che ha molto dell’eterna fascinazione occidentale per le macchine dal cuore umano. E’ il 2016, e i robot sono macchine da guerra alle quali è affidato l’ordine. Siamo in Sudafrica, e un intero esercito di androidi costituisce il corpo di polizia più temibile del mondo: ma un giorno, qualcuno decide di sperimentare su un’unità danneggiata un’intelligenza artificiale alternativa, che si concretizzerà in una nuovo livello di robot antropomorfo. Non solo potente e agile, ma anche desideroso di imparare e compassionevole.
La scoperta dei sentimenti è ciò che rende questa terza prova di Blomkamp un filo meno cupa delle precedenti, dove era l’aspetto sociale a costituire il vero fulcro del film. Qui la figura di Chappie, che di un cane non ha solo il nome, finisce per rubare attenzione a un cast pur inusuale e piacevole, nel quale spiccano uno Hugh Jackman finalmente cattivo e il debutto (quasi) hollywoodiano del duo musicale sudafricano Die Antwoord. Il film scorre in salsa pinocchiesca un po’ troppo a lungo: Chappie impara che cosa vuol dire avere sentimenti umani racchiusi in un corpo d’acciaio, Chappie vuole bene ai suoi amici, Chappie è coraggioso, Chappie si sente solo, e così via. Sul finale, fortunatamente, Blomkamp riprende tematiche un po’ più alte e il film diventa quasi un altro film, in grado di sorprendere e scongiurare l’effetto favola fine a se stessa. Insomma, un salvataggio in extremis che rende questo terzo lavoro del regista sudafricano meritevole di essere visto, con un occhio già proiettato alla grande prova del nove che dovrà superare di qui a poco: la propria interpretazione dell’universo di Alien, alla quale sta già lavorando.
Voto 6
Appassionato di pop a trecentosessanta gradi, ama il cinema d'evasione, l'animazione e i film che non durino più di due ore.
Aspettando il suo Alien, Neill Blomkamp ci riporta in un Sudafrica supertecnologico con un robot dal cuore tenero.
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