Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Dopo anni passati a parlare di Jurassic Park 4, Jurassic World non è esattamente quello che ci saremmo aspettati dalla produzione di Steven Spielberg, il quale ha (saggiamente) evitato di cimentarsi con la regia di un quarto episodio al sapore di reboot. La nuova creatura di Amblin Entertainment, infatti, è sin dalle primissime inquadrature un omaggio al primo indimenticabile film della saga tratta dai romanzi di Crichton: qualsiasi fan del kolossal che fu si troverà a proprio agio e con la memoria continuamente solleticata da richiami e citazioni. Allo stesso tempo, Jurassic World decide non sbagliando di dimenticare il secondo e il terzo capitolo, quasi come se non fossero mai esistiti, per concentrarsi su che cosa voglia davvero dire riprendere e dare vita al sogno di John Hammond, visionario creatore del primo parco. Jurassic World è un gigantesco parco a tema che ha realizzato l’impossibile: rendere i dinosauri un’attrazione alla portata di tutti. Questo, però, ha come conseguenza l’inevitabile: i dinosauri “normali” non tirano più, e gli ingegneri del DNA al lavoro per il parco della Masrani Corporation creano un ibrido modificato più grosso e più cattivo, “con più denti” come viene ripetuto più volte durante il film, in grado di mandare in pensione persino il pericolosissimo T-Rex.
Ovviamente qualcosa va storto: l’Indominus Rex, il nuovo rettile gigante perfezionato dagli scienziati, ha un’intelligenza di molto superiore ai colleghi, e ben presto elabora un’efficace strategia di fuga oltre il recinto che lo costringe. Come per il parco di Hammond ventidue anni prima, la salvezza dei visitatori e dell’ecosistema è affidata a un manipolo di scaltri umani. Qui capeggiato da Owen (Chris Pratt), l’uomo che sussurra ai Velociraptor, tanto da riuscire a scagliare i rapidissimi dinosauri contro l’Indominus. Al suo fianco c’è Claire (Bryce Dallas Howard), executive del parco che si ritrova coinvolta nella caccia al rettile per salvare i nipoti, ovviamente rimasti intrappolati nel territorio di caccia del mostro. Tutto qui: se nel primo Jurassic park dovevamo superare lo scoglio della sospensione di incredulità di fronte ai dinosauri ricreati a partire dalle zanzare rimaste intrappolate nell’ambra, Jurassic World ci lancia subito nell’azione e, effettivamente, si mostra sin da subito per quel che è: un film “con più denti”.
Il quasi debuttante Colin Trevorrow è molto attento a rispettare l’alone di cult del film originale, ma si ha l’impressione che tentare di ridare vita al cast originale non riporti a galla la suspense, il ritmo e il sense of wonder che resero grande il lavoro di Spielberg. Anche perché nessuno degli attori ne esce bene se comparato a Jeff Goldblum, Laura Dern o Richard Attenborough. Le citazioni o gli easter egg non salvano dal respiro pesante del già visto che aleggia su tutto il film, che scorre via piacevole ma irrimediabilmente prevedibile dall’inizio a quasi la fine. Un iperbolico saurus ex machina risolleva infatti l’ultima mezz’ora, ma può poco per risollevare davvero il resto della pellicola. Pellicola che perde un po’ anche l’indagine sul rapporto tra uomo e scienza, per proporci una ben meno coinvolgente denuncia alla mentalità corporate e ai pericoli dell’industria dell’intrattenimento estremo. Insomma: più denti sì, ma anche molte meno emozioni.
Voto 5
Appassionato di pop a trecentosessanta gradi, ama il cinema d'evasione, l'animazione e i film che non durino più di due ore.
Ventidue anni dopo il primo disastro, l’umanità non ha ancora imparato: i dinosauri sono tipi incazzosi.
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