Il corriere – The Mule
— 7 febbraio 2019Clint Eastwood torna a dirigersi in un film ironico e toccante ispirato a una storia vera.
Mai come oggi, il cinema ha bisogno di eroi. Non siamo più abituati a vedere molte figure che si stagliano solitarie e imbattibili sul Grande Schermo: è per questo che, quando ci troviamo di fronte a un Clint Eastwood come quello di Gran Torino, non possiamo non rimanere spaesati. All’inizio sembra quasi eccessivo. Poi si inizia a capirlo, e subito dopo a volergli bene. Alla fine del film, si ama incondizionatamente l’eroe Walt Kowalski. E ci si ricorda a che cosa servono gli eroi.
Il suo personaggio riassume molte caratteristiche degli altri che Eastwood ha interpretato negli ultimi cinquanta anni: nel piglio, nei modi sbrigativi. E’ un vecchio burbero e disincantato, rimasto solo con il suo cane e la sua Ford Gran Torino (mai usata). Uno degli ultimi ad avere ancora la bandiera americana sul patio: il quartiere, infatti, è ormai prevalentemente popolato da famiglie asiatiche. Walt inizierà ad avvicinarsi a una di queste, affrontando a modo suo l’integrazione razziale, senza troppi complimenti politically correct. Ma la periferia di Detroit non è affatto diversa dal vecchio West: vige la legge della banda più forte, e quella dei più veloci a sparare. E poi, c’è l’eroe che si fa legge, e quando è costretto porta la legge a lavorare per lui.
Non è stato scritto appositamente per Eastwood, ma solo lui avrebbe potuto sostenere questo ruolo, naturalmente dirigendosi da solo. Ruolo che, tra l’altro, ha annunciato come ultimo della sua carriera d’attore. E’ il suo personaggio che regge l’intero film, e fa dimenticare anche qualche trovata sbrigativa nello script e una recitazione del cast non sempre eccelsa. Gran Torino è un ottimo Western contemporaneo. Ma soprattutto, è cinema come pochi hanno ancora il coraggio di fare.
Voto 9
Appassionato di pop a trecentosessanta gradi, ama il cinema d'evasione, l'animazione e i film che non durino più di due ore.
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Inarrestabile Clint | Movielicious