Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Credevamo di aver visto tutto quello che poteva essere pensato, ideato ed escogitato dalla mente di Scorsese in oltre quarant’anni di attività. E invece no. La sorpresa con il suo cinema è ancora una volta dietro l’angolo. Accantonati i toni cupi ed inquietanti di Shutter Island, il regista questa volta si cimenta con un’avventura fantastica (è il suo primo film con protagonista un bambino) tratta dal best seller The Invention of Hugo Cabret di Brian Selznick, pronipote di quel David O. Selznick storico produttore della Hollywood che fu. Due piani sequenza ai limiti dell’immaginabile ci catapultano subito nel mondo di Hugo Cabret (Asa Butterfield, già visto ne Il bambino con il piagiama a righe), un ragazzino orfano che vive solo e in incognito in una gare parigina degli anni Trenta. Appassionato di ingranaggi (suo padre era un orologiaio) ha il compito di controllare che gli orologi della stazione funzionino al meglio, il tutto cercando di sfuggire agli occhi dell’ispettore ferroviario (Sacha Baron Cohen) che lo vuole portare in orfanotrofio. La sorte del piccolo Hugo però cambia quando si imbatte in uno strano macchinario da ricostruire, in una ragazza un po’ stravagante e nel padrino di lei, papà Georges, lo scontroso gestore di un negozio di giocattoli con un passato misterioso.
Sicuramente con Hugo Cabret ci troviamo davanti al film più personale di Martin Scorsese, quello più magico e iperreale. Con centosettanta milioni di dollari di budget, i suoi fidati collaboratori (da Dante Ferretti per le sorprendenti scenografie a Francesca Lo Schiavo per i costumi, fino alla sua storica montatrice Thelma Schoonmaker), e un produttore d’eccezione (Johnny Depp, che appare anche in un cameo), il regista newyorchese ci accompagna nei meandri più profondi dei propri sogni più reconditi, nel meraviglioso mondo di uno dei pionieri del cinema, il regista e illusionista francese Georges Méliès, il primo a mostrare i mondi fantastici fino a quel momento descritti solo in letteratura e nei teatri, attraverso la tecnica delle immagini in movimento. Il film di Scorsese diventa così un omaggio incondizionato al cinema nella sua essenza più meravigliosa e trasgressiva, nel senso di fuori dall’ordinario, e immaginifica. E riesce a stupire lo spettatore smaliziato di oggi, proprio come il suo predecessore Méliès aveva fatto con il suo pubblico, che si alzava in piedi impaurito alla visione del treno che arriva nella stazione di La Ciotat. Lo fa con un 3D strabiliante (ulteriore omaggio al padre degli effetti speciali), funzionale alla narrazione e che diventa strumento evocativo nel finale.
Georges Méliès, proprio come Scorsese, aveva intuito il potenziale immaginifico del cinema, e da artigiano sopraffino quale era, si era messo a fabbricare i sogni, quelli che non esistevano e che, grazie alle sue trovate, finalmente la gente poteva guardare in faccia mentre era seduta in una sala buia. In questo Hugo Cabret è imbattibile, nella potenza di sussurrare emozioni di celluloide, nel potere che nel film viene dispensato alla settima arte di far dimenticare le brutture della vita e di catturare i sogni, e nel citazionismo selvaggio di cui è intriso che sfocia spesso in omaggi più o meno espliciti a cinema e letteratura (si va da Harold Lloyd e Douglas Fairbanks a David Copperfield e Jean Valjean). Hugo Cabret però, nonostante risulti stilisticamente impeccabile, rimane un film imperfetto, narrativamente meno forte rispetto ad altri lavori del regista americano, con una trama che si gioca tutto nella seconda parte, lasciando al resto dei cambi di ritmo eccessivi e ridondanti. Ma l’essenza del messaggio che Scorsese ci lascia in quello che ha tutta l’aria di essere il suo testamento cinematografico, arriva dritto al cuore. Il consiglio, anzi la necessità, è quella di tornare a una visione innocente del cinema, recuperandone il passato e la sua storia. Liberi dai pregiudizi e con gli occhi innocenti di un bambino che scopre il mondo. E alla fine, sembra quasi di vederlo, Martin Scorsese, con gli occhi lucidi e consapevoli, che a settant’anni riesce a trovare ancora una storia in grado di emozionarlo.
Voto 8
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
Martin Scorsese ci mostra la materia di cui sono fatti i sogni. Cosa poteva essere se non celluloide?
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