Il cecchino

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QUI trovate le videointerviste a Michele Placido e a Luca Argentero



Parigi. Il capitano Mattéi (Daniel Auteuil)è finalmente sul punto di arrestare una famigerata banda di rapinatori di banche, quando un cecchino appostato sul tetto di un edificio spara contro i poliziotti per permettere ai suoi complici di fuggire. Nella sparatoria uno di loro viene gravemente ferito e si vedono costretti a cambiare i propri piani, rifugiandosi presso lo studio di un medico corrotto che opera clandestinamente e rimandando la spartizione della refurtiva. Nel frattempo il capitano Mattei si mette sulle loro tracce e organizza una spietata caccia all’uomo per catturare il cecchino: la ricerca diventa una sfida tra i due, un duello implacabile e silenzioso, che lentamente lascia emergere verità sepolte nel loro passato…

Presentato Fuori Concorso al Festival del Cinema di Roma lo scorso autunno, il nuovo film di Michele Placido vuole essere, secondo le dichiarazioni del regista stesso, il suo Romanzo criminale francese: ancora una volta l’autore torna ad immergersi nel mondo della criminalità e della violenza contemporanee, cercando di restituirne un ritratto vero e profondo, che vada oltre la superficie alla ricerca dei moventi, della sostanza umana ed esistenziale che si nasconde sotto la maschera di criminali “illustri”.

Tutta la storia ruota intorno al duello all’ultimo colpo tra il capitano Mattéi e il cecchino Kaminski (Mathieu Kassovitz), come nella migliore tradizione poliziesca-noir-western: il buono e il cattivo che si rincorrono, si cercano, si ritrovano faccia a faccia per scoprire di essere l’uno il doppio dell’altro, l’uno lo specchio deformante dell’esistenza dell’altro. La caccia all’uomo diventa quindi una ricerca interiore, un’operazione quasi psicoanalitica di scavo tra le pieghe della propria vita e soprattutto del proprio passato. Intorno a questa polarità protagonista-antagonista orbitano una serie di personaggi sofferenti e sconvolti, nessuno escluso, ma tutti macchiati da una colpa o da un dolore, tutti segnati da una dimensione tragica dell’esistenza: tra loro spicca per complessità la figura del dottor Franck (Olivier Gourmet), un vero e proprio Jekyll-Hyde, medico corrotto e avido, che nasconde una vita sadica e mostruosa sotto le sembianze di piccolo medico di provincia.

Nelle intenzioni del regista, la storia avrebbe dovuto rappresentare quel cosiddetto “polar” (ne fanno parte i film francesi a cavallo tra tra poliziesco e noir) reso celebre da Luc Besson o da Olivier Marchal, segnato dalla decadenza occidentale, dall’ambiguità e la duplicità degli uomini contemporanei, dai rapporti interpersonali e della società intera, segnata dalla tragedia e dal dolore, dalla violenza e dal male.
Ma a differenza delle sue prove precedenti, soprattutto Romanzo criminale e Vallanzasca, questa volta la personale riflessione di Placido si ferma  in superficie, resta ingabbiata nelle convenzioni di genere, un genere per di più assai standardizzato e invariante, proprio basato sulla ripetizione di certi schemi e di certe soluzioni: la violenza, per quanto si tenti di giustificarla o analizzarla lucidamente, resta a volte gratuita o comunque spettacolarizzata; l’azione, per quanto sorretta da una sceneggiatura articolata e secca, resta scostante e poco fluida, alternando momenti volutamente concitati ad altri che rasentano la noia, soprattutto quando la macchina da presa si focalizza sui volti dei protagonisti in sequenze che vogliono essere introspettive, di approfondimento psicologico. Nemmeno una personalità registica forte e passionale come quella di Placido riesce quindi nel tentativo di giocare con le convenzioni, sovvertirle e scardinarle dall’interno, e il film non va molto oltre l’orizzonte di una pellicola d’azione passabile. Unico aspetto che getta una luce positiva su tutta l’operazione, che per il resto odora solo di commerciale, è la direzione degli attori, in cui Placido si conferma ancora una volta un maestro.

Voto 6

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