Troppo gay per Hollywood? Ma a Cannes fa scintille

Di Carolina Tocci
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“Era un film troppo gay per il cinema”. Così Steven Soderbergh in conferenza stampa ieri mattina a Cannes ha giustificato la decisione degli studios americani di non finanziare il suo Behind The Candelabra, pellicola con cui è In Concorso e che è stato prodotto dalla rete televisiva HBO (negli States infatti il film sarà proiettato in TV). Il film racconta della tormentata relazione nata negli anni Settanta tra il pianista Liberace e il giovane Scott Thorson. Le numerose scene di baci e una in particolare piuttosto intima ed esplicita ha fatto sì che Hollywood rifiutasse questa toccante storia interpretata sorprendentemente da Michael Douglas e Matt Damon, ma a Cannes Soderbergh ha avuto la sua rivalsa perché Behind The Candelabra è piaciuto molto sia alla stampa che al pubblico.



Personaggio veramente esistito, nato nel 1919, di origini polacche e italiane, il pianista Liberace (Douglas) è stato negli anni Sessanta e Settanta uno dei performer più famosi degli Stati Uniti e anche il personaggio più esagerato, eccessivo nei costumi di scena e nei vizi privati, sempre alla ricerca di ragazzi giovani e belli da sedurre e da mantenere. Fino a quando nella sua vita non entra Scott Thorson (Matt Damon). Con un’infanzia trascorsa di famiglia in famiglia, di orfanotrofio a orfanotrofio, Scott è un ragazzo semplice, con il sogno di diventare veterinario. Proprio la passione per gli animali e una gentilezza nei confronti del cane malato di Liberace farà scoppiare l’amore tra i due. Un rapporto che dura anni, prima come amanti poi come conviventi, fratelli, migliori amici, colleghi, tanto che Liberace ha l’idea di adottare legalmente Scott per assicurargli la sicurezza economica anche dopo la sua morte, anche se non riuscirà a afarlo. Una storia romantica come poche, ma sempre tenuta nascosta al grande pubblico perché Liberace si è sempre dichiarato eterosessuale.

Nel primo film girato dopo la malattia che lo ha colpito due anni fa, Douglas è bravissimo a non fare del suo Liberace una macchietta bidimensionale, e con tutti quei costumi vezzosi che indossa nel film, non era cosa facile. Chissà che il suo contributo a una storia tanto struggente quanto ironica non venga riconosciuto. Chi ha visto il film sostiene che un premio lo meriti tutto e sarebbe anche un bello smacco per gli studios che nel 2013, con la penuria di belle storie che sfocia sempre più spesso nella realizzazione di remake senza senso, possono ancora permettersi di rifiutare una pellicola riuscita e toccante come questa.

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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