Green Book

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A pensare che il regista di Green Book sia uno dei fratelli Farrelly, quelli di Scemo & più scemo, Tutti pazzi per Mary e Io, me & Irene, fa un certo effetto. Sbarcato alla Festa di Roma dopo aver vinto il Premio del Pubblico all’ultima edizione del Toronto Film Festival, Green Book racconta la storia (vera) del pianista di colore Don Shirley (il Premio Oscar Mahershala Ali), che nel 1962 assunse il buttafuori italoamericano Tony Lip (Viggo Mortensen) come autista per farsi accompagnare a una serie di concerti nel sud degli Stati Uniti, al di sotto di quella linea immaginaria Mason-Dixon che delimitava gli stati in cui la segregazione razziale rappresentava la norma. Il riconoscimento dei diritti civili alle persone di colore è ancora un’utopia e, a mano a mano che i due si addentrano nel profondo sud del Paese, si ritrovano a contatto con la triste realtà di una società tanto ipocrita da fregiarsi della presenza di un artista afroamericano per deliziare un pubblico di gretti uditori bianchi, negandogli però la possibilità di mangiare nel loro stesso ristorante o di condividere il bagno.



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Il film (il cui titolo si riferisce al Negro Motorist Green Book, una guida pubblicata dal 1936 al 1966 per consigliare i viaggiatori neri sui locali accoglienti nei confronti degli afroamericani, per soggiornare o mangiare senza essere presi di mira dai suprematisti bianchi, insomma una “vacation without aggravation”) è un affresco lucidissimo di un autore che, per la prima volta lontano dal fratello Bobby e dall’umorismo demenziale, scorretto e divertentissimo che lo aveva fatto conoscere al grande pubblico, sembra avere il perfetto controllo della narrazione e la rara capacità di raccontare una storia lontana nel tempo, eppure drammaticamente attuale, senza ricorrere al didascalismo più spicciolo, ma puntando sulla sapiente costruzione di un rapporto tra due esseri del tutto opposti tra loro. Una sorta di A spasso con Daisy a ruoli invertiti, che alterna dramma sociale e toni da commedia per affrontare il tema del diverso facendo leva ora su un umorismo sofisticato e pungente, ora su momenti più intensi.

Perfetti i due protagonisti. L’elegante Don Shirley di Mahershala Ali, costretto ad affrontare un doppio problema razziale: quello dei bianchi che lo vedono come un “semplice nero” anche se parla diverse lingue, indossa abiti sartoriali e sfoggia una cultura fuori dal comune, e quello degli altri neri, la sua gente, per lo più domestici al servizio di ricchi bianchi che lo ghettizzano perché troppo diverso da loro; e Viggo Mortensen alle prese con quello che è senza ombra di dubbio uno dei personaggi più riusciti della sua carriera. Il suo Tony Lip sembra uscito da un film di Scorsese, grosso, dall’appetito insaziabile e dai modi ruvidi, tronfio nello sfoggiare un buffissimo accento italiano reso ancor più efficace dai gesti enfatici, quasi a voler sottolineare ogni parola che dice.
È un film senza difetti, questo Green Book, delicato, profondo e scorrevole, di quelli che vorresti non finissero mai.

Voto 8

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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