After Earth

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Mille anni dopo l’evento catastrofico che ha sconvolto il pianeta Terra, gli essere umani superstiti sono stati trasferiti sul remoto Nova Prime. Qui vive il giovane Kitai (Jaden Smith), deciso a diventare un Ranger come il suo freddo e imperioso padre Cypher (Will Smith), capo della United Ranger Corps, corpo incaricato di difendere i terrestri dai temibili Ursa, creature aliene indigene del nuovo pianeta modificate geneticamente per fiutare gli umani e annientarli. Su suggerimento della moglie Faia (Sophie Okonedo), Cypher acconsente a portare il figlio con sé in missione, ma, durante il viaggio, la loro astronave viene colpita da un asteroide e precipita sulla Terra. Poiché Cypher è rimasto ferito, il giovane Kitai dovrà esplorare da solo l’ormai ostile pianeta per recuperare gli strumenti di soccorso, dispersi a seguito dello schianto. I due dovranno iniziare così a collaborare e fidarsi l’uno dell’altro.



Dopo il commovente La ricerca della felicità di Gabriele Muccino,  i due Smith, senior e junior, tornano insieme sul grande schermo diretti dal regista M. Night Shyamalan (Il sesto senso) l’autore indiano che da parecchio ormai  ha smesso di regalare al pubblico storie avincenti (Lady In the Water, E venne il giorno e L’ultimo dominatore dell’aria lasciavano incredibilmente delusi per la loro scarsità di contenuti). E con After Earth Shyamalan non fa certo una scelta sicura dirigendosi verso un genere da lui esplorato, parzialmente, con Signs.

Girato con l’innovativa cinepresa digitale ad altissima risoluzione Sony F65 4K, After Earth è certamente una gioia per gli occhi, con  paesaggi mozzafiato ed effetti visivi iperrealistici che incantano sin dai primi minuti di proiezione. Fortunatamente, oltre questa ipertecnologica realtà, esiste anche un testo, un racconto, che prova a illustrare linearmente l’evoluzione del rapporto tra padre e figlio. After Earth è un romanzo di formazione che racconta la crescita di un ragazzo attraverso un vero e proprio rituale d’iniziazione che caratterizza le civiltà primitive sin dall’origine dei tempi: il padre insegna al figlio come vivere, lasciandolo solo nella foresta con insidie e pericoli. C’è spazio anche per il tema della paura, caro al regista, metaforicamente rappresentato dagli Ursa, creature aliene spaventose e modificate geneticamente per uccidere gli umani, perché in grado di fiutare l’adrenalina.

A livello di contenuti, quindi, il film restituisce parzialmente al suo pubblico uno Shyamalan riflessivo, quasi filosofico, che cela al di sotto della tensione un sottotesto intelligente, ma che, ancora una volta, non riesce nell’intento di realizzare un prodotto al di sopra della media a causa una sceneggiatura debole, con toni spesso melodrammatici e un finale piuttosto scontato. Will Smith, poi, è praticamente assente, evidentemente deciso a passare lo scettro da protagonista al figlio (che però ha ancora parecchio da imparare).

Noi nel frattempo restiamo ancora in attesa, speranzosi, di un nuovo Sesto Senso.

Voto 5

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