Louisiana (The Other Side)

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Nella Louisiana del nord, in un territorio invisibile posto ai margini della società, c’è un’intera comunità che vive sul sottile confine che separa l’illegalità dall’anarchia.
Ci sono Mark e Lisa, fidanzati uniti più dalla comune passione per la roba che non dall’amore reciproco.
Ci sono donne incinte che si esibiscono in squallidi strip club pur di rimediare i pochi spiccioli necessari per un buco e adolescenti cresciuti a (poco) pane e (troppa) metanfetamina.
Ci sono poi i vecchi, memoria storica di un passato così cupo da non permettere loro nemmeno il ricorso ad una qualsiasi forma di nostalgia per i “bei vecchi tempi”.
E c’è un’organizzazione paramilitare impegnata a indottrinare i cittadini sull’uso delle armi in difesa di un ipotetico attacco orientale agli Stati Uniti.
Tra le pieghe di questa umanità nascosta si aprono gli abissi dell’America di oggi.



Dopo gli applausi a scena aperta tributatigli a Cannes, dove era presente nella sezione Un Certain Regard, arriva nelle nostre sale il nuovo documentario di Roberto Minervini. L’autore, conclusa la trilogia texana (The Passage, Low Tide e Stop the Pounding Heart), prosegue il suo viaggio dentro il cuore più nero dell’America, quello che solo di rado trova spazio al cinema e che, paradossalmente, risulta essere il più utile per ragionare sullo stato delle cose oltreoceano.
Minervini conosce benissimo la realtà statunitense, avendoci vissuto a lungo e sa che il nucleo più forte dell’elettorato americano non è a Washington né tantomeno nella ben più cinematografica New York, bensì in quelle sconfinate zone grigie in cui degrado, paura e disinformazione dettano legge.
Proprio come in questa Louisiana, incredibilmente distante sia da Baton Rouge che da New Orleans, in cui ristagnano tutto l’odio e la rabbia verso una classe dirigente che sembra ostinarsi ad ignorarne l’esistenza.
Seppure pieno di scene assai crude, la maggior parte delle quali mostrano i protagonisti del film mentre si distruggono letteralmente abusando di qualsiasi droga su cui riescano a mettere le mani, il momento più forte di Louisiana è, a conti fatti, una scena apparentemente ordinaria, che li mostra durante una cena, mentre parlano di Obama definendolo senza troppe perifrasi un “negro” e si augurano che Hillary Clinton possa diventare il prossimo Presidente degli Stati Uniti perché una donna, forse, potrebbe occuparsi anche di loro.
E’ qui, più o meno a metà film, che Minervini palesa la natura fortemente politica di un’opera che, fino a quel momento, era sembrata incentrata più sulla sfera intima dei diseredati che ne popolano i fotogrammi.

E’ un film pieno di demoni Louisiana, che ha il coraggio di limitare al minimo sia l’intervento autoriale esterno che il ricorso a qualunque tipo di filtro morale. Sono i demoni privati di chi vive senza elettricità perché i soldi delle bollette preferisce spenderli in droga. Ma, per quanto questi diseredati possano indulgere in comportamenti borderline, proprio non ce la si fa a volergli male.
Innanzitutto per la profonda lucidità che ognuno di loro mostra nell’autodefinirsi attraverso la messa in mostra di sé. E poi perché Mark, Lisa, Jim e ogni volto inquadrato dalla macchina da presa di Minervini sono la cartina al tornasole di un sistema sociale costruito attorno a promesse impossibili da mantenere e, se è giusto che ogni storia abbia il suo eroe, gli eroi di questa storia sono proprio loro.
Lo sono già per il semplice fatto di esistere e resistere e, seppure ai margini, di non avere alcuna intenzione di arrendersi.
Il nemico, inutile a dirsi, è il ‘diverso’ inteso in ogni sua possibile declinazione, che sia uno straniero, un ricco o anche solo l’abitante di un altro quartiere. In questo senso il loro resistere, allo stesso tempo urlo di rabbia e richiesta di aiuto, è un atto pienamente politico.
C’è un’infinita dolcezza anche nelle immagini più crude e disturbanti di questo magnifico documentario che ricorda certe canzoni di Springsteen (quelle di Nebraska e The Ghost of Tom Joad soprattutto) e che rappresenta davvero l’altro lato (quello più oscuro) dell’America per come siamo abituati a percepirla qui, alla periferia dell’Impero.
Interessante inoltre che a mostrarlo, in maniera così lucida e poco accomodante, sia proprio uno straniero.
Ecco, questo è un elemento sul quale sarebbe il caso di riflettere.

Voto 7,5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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