Zoolander 2

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Un tempo Derek Zoolander (Ben Stiller) era il modello più  famoso del mondo.Uno che, con espressioni come la Magnum o la Blue Steel, ha cambiato per sempre le regole della moda. Poi, in seguito al tragico crollo del suo “Centro per ragazzi che non sanno leggere bene” che costò la vita a sua moglie e sfigurò l’amico Hansel McDonald (Owen Wilson) compromettendogli per sempre la carriera, il modello “bello bello in modo assurdo”, in preda ai sensi di colpa, si è ritirato dalla vita pubblica.
Quando alcune famose popstar vengono assassinate con una delle sue celebri espressioni stampate sul volto, l’Interpol contatta Derek e Hansel perché si infiltrino nel mondo dell’alta moda. Pare infatti che dietro quegli omicidi possa esserci la mano del più acerrimo nemico di Derek, lo stilista psicopatico Jacobean Mugatu (Will Ferrell), attualmente detenuto in un carcere di massima sicurezza per aver attentato, anni prima, alla vita del Primo Ministro malese.



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Sia chiaro che la trama di questo sequel (attesissimo dalla schiera di fan che negli anni hanno trasformato Zoolander in un autentico fenomeno di culto, con tanto di battute recitate a memoria e selfie in cui si imitano le ridicole espressioni dei protagonisti) ha funzione poco più che accessoria. Zoolander 2 infatti vive (e funziona) per lo più di istanze che poco hanno a che fare con la sua natura squisitamente narrativa. In primo luogo di una strategia di lancio che ha pochi precedenti, strutturata su un utilizzo sapientissimo dei social network e sulla creazione di un universo extradiegetico in cui Ben Stiller e Owen Wilson sono realmente i modelli Derek e Hansel e campeggiano quindi sulle copertine di Vogue come nelle vetrine di Valentino a Roma. Un uso del marketing esilarante nel suo parodiare l’invasiva aggressività dei moderni fenomeni legati alla pop culture e nato ancor prima che la sceneggiatura del film fosse ultimata, per  svilupparsi poi durante l’intero arco delle riprese.
Esperimento riuscito in pieno ma, sulla carta, non privo di possibili rischi, primo tra tutti l’insidiosissimo fattore tempo.
In termini cinematografici, infatti, i quindici anni che intercorrono tra un film e l’altro rappresentano un’era geologica, non solo per interesse di un target ristretto per forza di cose a chi abbia memoria del primo film, ma soprattutto per come le regole della comunicazione legata alla moda sono cambiate in questi anni.

Se il primo problema viene aggirato agilmente strutturando Zoolander 2 come un prodotto in tutto e per tutto destinato a chi oggi abbia più o meno quarant’anni, l’intelligenza dello script (opera dello stesso Stiller insieme a Justin Theroux, attore feticcio di David Lynch e già autore di Tropic Thunder) sta nell’affrontare la possibilità che il film risulti inadeguato giocando sull’inadeguatezza dei suoi protagonisti e calandoli in un universo testuale per affrontare il quale hanno ancora meno strumenti che in passato, amplificandone in tal modo l’effetto comico.
Se il primo Zoolander risultava quindi più centrato nel suo prendersi gioco della vacuità di una società dei consumi all’epoca nel pieno di una transizione che, a posteriori, possiamo definire epocale, questo sequel vola più basso per sua precisa scelta, finendo con l’assomigliare più a un allegro e costoso baraccone con minori velleità sociologiche ma, forse proprio per questo motivo, più riuscito nel suo fine dichiaratamente ludico.
Perché, al netto delle dissertazioni analitiche, Zoolander 2 fa ridere, e molto.
E’ pur vero che la maggior parte delle risate nascono dai cameo di guest star insospettabili che qui non riveleremo per non guastare la festa a nessuno e che, in ogni caso, non si raggiungono i picchi di comicità anarchica presenti in Tropic Thunder, ad oggi il vero capolavoro di Ben Stiller regista.
Ma rappresenta comunque il tentativo riuscito di riprendere le fila di un discorso di riscrittura delle regole del cinema demenziale portato avanti fin dai tempi de Il rompiscatole e interrotto in modo piuttosto brusco, due anni fa, dall’interlocutorio I sogni segreti di Walter Mitty.
E poi, seriamente, quando ci ricapita di vedere Justin Bieber trucidato a colpi di mitra?

Voto 6,5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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