Colonia

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Vedi i primi dieci minuti di Colonia – l’ultimo film di Florian Gallenberger, già autore di John Rabe, e subito pensi possa trattarsi del classico melodrammone in cui c’è una protagonista femminile – in questo caso la assistente di volo Lena (Emma Watson) – che passa l’intera durata del film a struggersi in attesa del ritorno del suo amato, che qui è il giovane fotografo Daniel (Daniel Brühl) imprigionato e torturato dalle milizie del cruento generale Augusto Pinochet in seguito al colpo di stato che nel ’73  rimpiazzò il governo di Allende.
Ti prepari quindi al peggio, ripensando con orrore non a quella sanguinosa dittatura instaurata dal militare cileno quanto all’indigeribile La casa degli spiriti e a come il racconto di quella pagina nera della storia di quel paese possa dar vita a veri e propri mostri cinematografici.
Poi però entra in ballo Colonia Dignidad, sorta di setta parareligiosa in cui nei primi anni Settanta venivano trasferiti molti dei dissidenti arrestati, nata per volontà di un ex nazista fuggito dalla Germania in seguito ad alcune accuse di abusi su minori (un mefistofelico e laido Michael Nyqvist) e tutto cambia.



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Love story, thriller e cronaca degli orrori perpetrati nel Cile di Pinochet si combinano in un film tesissimo e crudo che ha l’intelligenza di focalizzarsi su un particolare poco noto (la comune fondata da Paul Schäfer appunto) piuttosto che approcciare l’argomento da un punto di vista più generico. Colonia Dignidad diventa quindi rappresentazione di un inferno, sia fisico che mentale, in cui convivono suggestioni che rimandano tanto a Magdalene per le vessazioni subite dalle adepte (l’epiteto più morbido con cui venivano chiamate le donne nella comune era “cagna”) quanto alle torture solo raccontate nell’immenso e mai troppo incensato La morte e la fanciulla di Polanski e qui invece mostrate in tutta la loro ferocia. Come non riconoscere poi nell’inquietante carceriera Gisela una declinazione moderna dell’infermiera Mildred interpretata da Louise Fletcher in Qualcuno volò sul nido del cuculo?
A questo poi si aggiunge un subplot di fuga tipico dei prison movie, per dire di come Gallenberger maneggi abilmente la materia, con un tocco autoriale che, pur flirtando col mainstream, gli consente di non sconfinare mai né nel mélo, il rischio maggiore da scongiurare.

Ciò che più piace di Colonia è il modo in cui utilizza uno dei crimini più atroci della storia recente per colpire però anche il mondo delle sette in generale. Francamente difficile non pensare infatti a Ron Hubbard (il misterioso fondatore di Scientology) di fronte al violenti esercizi spirituali comminati ai suoi adepti da Schäfer. Daniel Brühl si conferma uno degli attori più maturi e completi della sua generazione, credibile sia in contesti più leggeri (come nel recente Il sapore del successo) che in ruoli dal forte afflato drammatico come questo. Unica nota dolente è, semmai, Emma Watson, qui assolutamente fuori luogo e incapace di abitare il suo personaggio con la giusta dose di dolorosa empatia. La sua Lena è infatti sì spaesata, ma non di fronte a un panorama politico così alieno e incomprensibile quanto rispetto a un ruolo così fuori dalle sue corde.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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