Quentin Tarantino a Roma: l’intervista

Di Carolina Tocci
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Il più bastardo dei registi è tornato. La sala dell’hotel Hassler di Roma è gremita di giornalisti, molti dei quali fan sfegatati del regista che ha rivoluzionato il modo di intendere il cinema. Tarantino arriva in ritardo, come i grandi divi, ma più che ad un incontro stampa sembra di essere a una lezione di cinema. Le sue risposte sono pungenti, precise, di chi conosce bene il proprio mestiere e ne è consapevole. Accanto a lui siede Eli Roth, attore, regista (Hostel) e amico di Tarantino. Ecco cosa ci hanno raccontato.



Secondo lei il cinema ha la forza di poter cambiare il destino del mondo?
Lo credo fermamente. Mi piaceva l’idea di avere il cinema che fa crollare il Terzo Reich, è una metafora succosa. Nel film poi, la metafora diventa realtà, ma era qualcosa di troppo prezioso, anche visivamente, per non essere rappresentato.

 

Perché hai girato un film pseudo storico? Si tratta solo dell’ennesima sperimentazione o sta cambiando qualcosa nel tuo modo di fare cinema?
La ragione che da quasi vent’anni mi fa iniziare progetti nuovi è la sperimentazione. Mi sono messo in gioco in questo film maccheroni-combat, come direbbero i giapponesi. Poi man mano che andavo avanti con lo scrivere la sceneggiatura, mi rendevo conto che stavano emergendo le mie idee sulla guerra, e quello che pensavo al riguardo. Ma il motore di tutto, almeno per me è la possibilità di tentare strade nuove.

Come hai affrontato il personaggio di Hitler?
Non vorrei affrontare nel dettaglio cosa succede a zio Adolf, sennò toglierò delle sorprese a chi non ha ancora visto il film.

 

Eli, dove hai imparato così bene l’italiano?
Eli Roth: Ho studiato in un’accademia esclusiva, quella di Bombolo, Alvaro Vitali, Viva la Foca. La Fenech, Barbara Bouchet… Li ho visti tutti quei film! Volevo incanalare lo spirito di Bombolo in quell’unico gesto: viva Bombolo!

Bastardi senza gloria per te rappresenta il film della maturità?
Non credo che un cineasta faccia prima dei film divertenti, per passare poi a film solenni. Io sono andato avanti e indietro. Dopo Pulp Fiction ho fatto Jackie Brown, forse il mio film più maturo. Poi sono tornato a un genere più leggero, con Kill Bill, che era un omaggio ai film di arti marziali. Siete voi giornalisti che dovete dirmi se il film sia maturo o meno. Io volevo fare un film con un gruppo di uomini che avessero una missione. Come Quella sporca dozzina, o Quel maledetto treno blindato. Ma volevo qualcosa di diverso. Allora ho pensato: Perché non un gruppo di ebrei americani che combattono i nazisti? Ho iniziato a pensare che si poteva creare la leggenda dei Bastardi senza gloria, e che potesse incutere terrore nei tedesci che avevano invaso la Francia. Insomma, ero in cerca di una storia diversa. Per questo ho voluto prendere le distanze anche dalla figura dell’ebreo che in genere nei film subisce solo. I miei ebrei combattono e si prendono gli scalpi dei nemici!

 

Quando sei sul set, come ti relazioni con i tuoi attori?
Chi fa il mio lavoro sa perfettamente che ogni attore è diverso dall’altro e che non esiste un solo modo di relazionarsi con ognuno di loro. In linea di massima, io sono uno scrittore. Creo dei personaggi dal nulla, poi gli costruisco attorno una situazione in cui poterli inserire. I personaggi sono i miei bambini, e io li amo. Nella fase di casting, cerco attori che possano incarnare i personaggi che ho delineato. Gli attori vengono dopo che ho tratteggiato i personaggi. Io conosco il personaggio, so quello che succede prima e quello che succede dopo. So cose che il pubblico non dovrà mai sapere, ma dovete sapere che io lo conosco talmente bene, che andrà oltre il film che vedrete tutti.

Com’è lavorare con Quentin Tarantino?
Eli Roth: Bellissimo, divertente e anche molto impegnativo. Sul set di Bastardi senza gloria non ha voluto assolutamente che ci fossero cellulari, o altri strumenti tecnologici. Se qualche attore parlava al cellulare durante il lavoro, veniva cacciato via. Quando siamo lì sul set, a noi attori è richiesto di essere solo i personaggi che interpretiamo. Quentin è magico in questo, riesce sempre a creare la giusta atmosfera che gli serve per girare l’una o l’altra scena.

 

I suoi film sono applauditi sia da un pubblico pop che da un pubblico più sofisticato. Come se lo spiega?
Io sono americano, ma non mi considero un cineasta americano. Io faccio film per il mondo, l’America per me è solo un mercato. Sono stato influenzato dal cinema di tutto il mondo, io ho sempre guardato ogni genere di film… Tutto.  Quando faccio un film, non ho la scuola hollywoodiana che mi sostiene.

Le foto in questo articolo sono di Daniele Florio

I video sono stati realizzati in esclusiva da Movielicious.it

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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