Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Se il primo Toy Story (ormai ben quindici anni fa) ha rappresentato sia in termini narrativi che tecnologici una svolta pioneristica nel modo di fare animazione, ora la Pixar impiega tutte le energie per mantenere un primato che ormai sembra essere inattaccabile. La maledizione dei sequel, che difficilmente fa sì che un secondo o terzo film di una serie sia migliore del primo, con i magici omini capitanati da John Lasseter sembra non attaccare, e neanche Toy Story 3 sfugge a questa regola.
Andy è in partenza per il college, sta svuotando la sua stanza e la mamma lo invita a decidere che cosa fare dei vecchi giocattoli. Dal canto loro, i giocattoli, sanno già quale sarà il destino che li aspetta. Ormai Andy è grande, da tempo non gioca più con loro: saranno destinati alla soffitta, nel migliore dei casi, o alla spazzatura, nel peggiore. Invece per un malinteso, i giochi di Andy, compresi Woody e Buzz, finiscono al Sunnyside, un asilo che sembra un luogo paradisiaco per i giocattoli di seconda mano, pieno di bambini impazienti di poter giocare con loro, ma che nella realtà è una sorta di prigione da cui è impossibile evadere. Anche se per Woody e Buzz non c’è niente di impossibile.
Ancora una volta una storia semplice, lineare e narrativamente perfetta. Ancora una volta l’impianto del road movie, strutturato come riconquista dello stato iniziale attraverso un ritorno, incoraggiato dall’amore nei confronti di qualcuno (in questo caso dall’affetto che i giocattoli provano per il loro proprietario ed ex compagno di giochi Andy). La cura dei dettagli di Toy Story 3 raggiunge livelli incredibili, così come sono incredibili i nuovi personaggi che si affacciano nella storia: da un fantastico Ken fashion victim, al perfido Lotso Grandi Abbracci, passando per i Bisi e Bisi, il baccello contenente tre adorabili pisellini. A tutto questo, si aggiungono le infinite citazioni (una su tutte, al maestro dell’animazione giapponese Hayao Miyazaki, con il cameo di un Totoro) e un 3D funzionale ma non invasivo. Il regista Lee Unkrich, montatore del primo Toy Story, è passato al posto che fu di John Lasseter nei primi due episodi della serie, e continua la tradizione in pieno stile Pixar, miscelando perfettamente l’aspetto del divertimento intrattenitivo con quello prettamente narrativo.
D’obbligo una menzione all’immancabile cortometraggio, altro marchio di fabbrica della scuderia lasseteriana, che prepara lo spettatore con un piccolo distillato di fantasia allo stato puro. Quando la notte incontra il giorno, realizzato da Teddy Newton, mette in scena l’incontro tra due realtà che non si conoscono perché destinate a non incontrarsi mai, come suggerisce il titolo. Dopo le iniziali paure legate all’ignoranza, si passa all’accettazione e all’amicizia in un crescendo di incantevoli trovate visive.
In quel posto incantato che si chiama Pixar, dove si seguita a sfornare un capolavoro dopo l’altro, dove i giocattoli parlano e si emozionano, si continua a fabbricare magia. E finché sarà così, difficilmente Lasseter e i suoi sbaglieranno un film.
Voto 9
Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.
La scuderia di Lasseter & Co. confeziona l’ennesimo capolavoro: Woody e Buzz tornano alla riscossa.
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