Boris: il film

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Trovarsi costretto a girare una scena a rallenti del giovane Ratzinger che corre felice nei prati per glorificare la scoperta di un vaccino è troppo anche per Renè Ferretti. E’ questa la goccia che fa traboccare il vaso, il motivo per cui il regista de Gli occhi del cuore e Medical Dimension compie, finalmente, il “gran rifiuto”. A questo punto, meglio la fame! Almeno finché non si presenta la grande occasione: la possibilità di realizzare un film tratto dal libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo La casta, sulla corruzione e sugli sprechi della politica italiana. Dopo anni di asservismo alle tecniche e ai meccanismi marci della fiction televisiva, finalmente René può dare libero sfogo alla sua creatività lavorando per il cinema. Ma le cose non andranno esattamente come si aspetta. Riuscirà a smentire la dura legge della fiction “Dalla tv non se ne esce. Se non da morti?”.



Una delle pellicole più attese della stagione, arriva nelle sale in modo importante (distribuito in oltre trecento copie) e fragoroso. L’intento è quello di smascherare senza sconti i bachi strutturali del cinema, così come è stato fatto nei confronti della fiction televisiva durante le tre stagioni della fuoriserie. Ed ecco che tra attrici isteriche, produttori ipocriti, tecnici ipersindacalizzati, eroinomani, sceneggiatori nullafacenti, giovani precari sfruttati e, naturalmente, la solita sfilza di raccomandati, Borsi: il film evidenzia senza ipocrisie il sistema tutto italiano secondo cui l’eccellenza spaventa, in ogni situazione: molto meglio la mediocrità. Gli appassionati della serie stiano tranquilli: nel film ritroveranno tutti i volti noti della fiction (da Carolina Crescentini-Corinna-cagna maledetta a Pietro Sermonti-Stanis), con qualche new entry, come la simil Margherita Buy Marilita Loy (Rosanna Gentili), additata come “la più grande attrice  italiana”, afona e del tutto fuori di testa.

Vendruscolo, Ciarrapico e Torre, (già autori della serie, qui anche registi) si sono divertiti ad alzare il tiro, puntando sulla stanca che da anni assilla l’industria cinematografica del nostro paese. Il rischio che comportava il passaggio di medium era concreto, ma in parte è stato evitato grazie a scelte non facili: come la rinuncia ad alcuni tormentoni (le “smarmellate” del direttore della fotografia Duccio o gli “a cazzo di cane” di René) per non connotare troppo il film e renderlo fruibile anche a chi non ha mai visto la serie TV. Forti di una struttura narrativa ben congegnata e supportati da dialoghi agili e sottili, tanto divertenti quanto amari, i tre autori confezionano un prodotto che soprattutto nella prima ora risulta particolarmente godibile. Sul finale, causa qualche lungaggine, il ritmo cala un po’. Operazione riuscita, dunque. Ne siamo davvero felici, da amanti della serie non avremmo sopportato un polpettone realizzato a mo’ di collage con “il meglio di…”.

SPOILER: Impareggiabile la scena in cui Nicola Piovani si gioca l’Oscar a carte, emblematico Massimo Popolizio nei panni dell’attore “venduto”:”Ho fatto Ronconi, ho fatto Sorrentino e mo’ ho fatto i soldi”. Ma le citazioni e i rimandi al vero mondo del cinema si sprecano: non manca nemmeno una frustata alla concorrenza: un macaco introdotto come il numero cinque della casa di distribuzione Medusa. Il tutto presentato in modo assolutamente e meravigliosamente scorretto.

Voto 7

Qui trovate le videointerviste al cast e ai registi.

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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