Noi siamo infinito

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Ovvero “I vantaggi di essere timido”.
Anche se “uno che fa da tappezzeria”, come traduzione di Wallflower, rende meglio l’idea.
Il protagonista, Charlie, è appunto uno che fa da tappezzeria.
Ha sedici anni, legge più di quanto non viva e ascolta gli Smiths.
E soprattutto non ha mai avuto una ragazza.
Fare da tappezzeria però, soprattutto se associato a una sensibilità superiore alla media, può anche significare la possibilità di sviluppare un punto di vista privilegiato su ciò che si osserva.
E Charlie, mentre osserva i suoi due nuovi amici Sam e Patrick vivere una vita sui generis rispetto ai rigidi standard di una qualsiasi high school americana – spregiudicata e sentimentalmente instabile lei e omosessuale lui – comincia (o ricomincia) a vivere.
Tra i tre si crea immediatamente una forte alchimia, complice anche il riconoscersi reciprocamente lo status di outsider e inizia quello che per Charlie sarà un anno speciale, pieno di prime volte.
Strutturato come una serie di lettere scritte da Charlie al migliore amico perso da poco, Noi siamo infinito racconta in maniera dolce-amara della perdita dell’innocenza, del primo bacio e delle prime droghe, dell’elaborazione del lutto e delle generali difficoltà che un adolescente può trovarsi ad affrontare affacciandosi al confine con l’età adulta.



E’ bene che prima di entrare in sala a vedere questo film si abbia piena consapevolezza del fatto che ciò che ci verrà mostrato si avvicina maledettamente alla vita.
Perché a volte uno non se lo ricorda più cosa vuol dire avere sedici anni.
La sensazione che la scuola sia tutto il tuo mondo e che, in quel mondo, tu sia chiamato ogni giorno a giocare un ruolo fondamentale.
La drammaticità con cui viene vissuta ogni piccola forma di cambiamento e l’epicità di ogni slancio, anche il più piccolo, come il decidere, nel bel mezzo di una festa, di smettere di fare da tappezzeria e di guadagnare, timidamente, un posto sulla pista da ballo.
Noi siamo infinito ci aiuta a ricordare quel mood. E lo fa benissimo.
Con una leggerezza di sguardo che per molti aspetti rimanda al cinema di John Hughes (Breakfast Club soprattutto) pur trattando tematiche non sempre allegre.

Stephen Chbosky trasferisce su pellicola il suo romanzo d’esordio del 1999 (edito in Italia da Sperling & Kupfer con il titolo Ragazzo da parete) e, responsabile sia della sceneggiatura che della regia, firma un piccolo capolavoro. La matrice letteraria del film è evidente sin dalle sue prime sequenze.
Il modo stesso in cui l’autore introduce i tre splendidi personaggi principali – come anche la famiglia del protagonista, tratteggiata con poche ma sapienti pennellate – ha il respiro e la precisione della pagina scritta. La sua bravura, ai fini della perfetta riuscita del risultato finale, è anche nell’aver saputo scegliere un cast di attori in stato di grazia; quanto di meglio le ultime generazioni abbiano saputo mostrare sullo schermo.
Logan Lerman, in particolare, è un giovane attore da tenere assolutamente d’occhio.
Un piccolo De Niro che abita e percorre il film con un senso di inadeguatezza dolce che a tratti tramortisce. In alcune scene i suoi occhi sembrano quasi chiedere scusa per il semplice fatto di trovarsi lì.
E una parola la merita anche il bravissimo Ezra Miller.
Chi ha visto il disturbante E ora parliamo di Kevin provi a immaginarlo recitare in un ruolo “simpatico”. Non è mica facile, eh?
Menzione a parte per la musica, per una volta non semplice sottofondo trendy alle immagini, ma reale protagonista del film.  Le canzoni che sentiamo infatti (due su tutte, Asleep degli Smiths e Teenage Riot dei Sonic Youth)  oltre ad avere il compito di immergere la storia in un preciso contesto storico – il passaggio cruciale tra gli anni Ottanta e i Novanta – hanno il compito di suggerire quel mood tipicamente adolescenziale a cui accennavo poc’anzi.
Del resto riuscite a immaginare cosa voglia dire ascoltare per la prima volta David Bowie che canta che “tutti possiamo essere eroi, anche solo per un giorno” quando hai solo sedici anni e la sensazione che quella canzone possa, in qualche modo, parlare proprio di te?

Voto 8

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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