Noi
— 4 aprile 2019Jordan Peele confeziona un horror ricco di suggestioni che valica il genere e ci costringe a guardare in faccia il nostro peggior nemico. Noi stessi.
Ann (Barbara Steele) è una signora sola e non più giovane che passa gran parte del suo tempo collezionando farfalle e occupandosi della piccola Julie, figlia della vicina di casa.
Tra le pieghe di questo rapporto – cui si incrocia, in una serie di flashback, quello ben più morboso con Alice, adolescente smaliziata che offre ad Ann il proprio affetto in cambio di somme sempre più consistenti di denaro – s’intravede ben presto come, nel passato dell’anziana donna, ci siano ferite tutt’altro che rimarginate.
Interamente girato negli Stati Uniti, The Butterfly Room è l’ambizioso terzo film di Jonathan Zarantonello (Medley, Uncut). Il giovane autore, partendo da un suo vecchio corto (Alice dalle 4 alle 5), costruisce un’opera colta e raffinata che, attraverso un sapiente mix di atmosfere e richiami ai classici del genere – Che fine ha fatto Baby Jane e Psycho in primis – sembra quasi voler rispondere a chiunque da anni vada lamentando un vuoto importante del cinema horror in Italia.
Pieno zeppo di icone del genere degli anni d’oro (si va dalla Heather Langenkamp del primo, terzo e settimo Nightmare a Erica Leerhsen di Non aprite quella porta, passando per un gustoso cameo di Joe Dante) The Butterfly Room non mira però ad essere un mero esercizio di citazionismi ma è costruito proprio come un horror classico, con un rispetto filologico che a tratti lascia stupiti.
Lo è sicuramente nello stile di regia, sobrio sia in termini di movimenti di macchina che di montaggio e lo è nella scrittura, priva di qualsiasi velleità altra rispetto a quello che dovrebbe essere l’obiettivo primario di tutti i film “di paura”, ossia spaventare.
In questo l’autore trova anche la complicità di una Barbara Steele in grande spolvero.
Musa di registi come Freda e Fulci, l’attrice inglese torna dopo anni di assenza dagli schermi e rivendica – moderna Bette Davis – un posto di diritto nel panorama horror mondiale.
Le basta uno sguardo o un’impercettibile increspatura della fronte per suggerire disagio nello spettatore e, in buona parte, il film sembra costruito interamente intorno a lei.
Zarantonello va ad aggiungersi con questo film a quel manipolo di registi europei (Pasqual Laugier, Xavier Gens, Alexander Aja, senza dimenticare il “nostro” Federico Zampaglione) che, negli ultimi anni, hanno intuito che per infondere nuova linfa a un genere come l’horror, dato troppo spesso per spacciato, era necessario un ritorno alle origini.
La speranza è che, nell’immediato futuro, pellicole come questa appaiano sempre meno come operazioni nostalgiche a uso e consumo dei cinefili per tornare a spaventare un po’ chiunque.
Voto 7
Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.
Tra simbolismi, citazioni e scream queen, Jonathan Zarantonello firma un interessante horror tutto al femminile.
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