Hunger Games – La ragazza di fuoco

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“Lo Stato limita l’uomo e lo sfrutta per giustificare la propria esistenza”, sosteneva Nietzsche. Secondo il filosofo tedesco, l’”Uomo vero” quello che si inquadra nel Tipo Forte, è quello che riesce a liberarsi da tutte quelle catene che lo Stato gli ha imposto, siano esse fisiche o morali. E Hunger Games – La ragazza di fuoco, pellicola presentata Fuori Concorso durante l’ottava edizone del Festival Internazionale del Film di Roma, con questo concetto ha diverse affinità.



Dopo aver visto ed apprezzato il primo film tratto dalla saga letteraria di Suzanne Collins, scritto e diretto da Gary Ross, non pensavamo che saremmo rimasti stupiti, in positivo, una seconda volta. E invece Hunger Games – La ragazza di fuoco si è rivelato un’altra piacevolissima sorpresa. Diretta da Francis Lawrence (Io Sono Leggenda, Come l’acqua per gli elefanti), che è riuscito a mantenere ben saldi i punti di forza del primo film ma arricchendoli di nuova linfa, la pellicola riesce a coniugare perfettamente azione, sentimenti, vendetta e spettacolarità, valorizzando al meglio una storia che rappresenta una perfetta metafora del nostro tempo.

Siamo di nuovo nel regno di Panem. La vicenda inizia con Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) che è tornata a casa incolume dopo aver vinto la 74° edizione degli Hunger Games, insieme al suo amico, il “tributo” Peeta Mellark (Josh Hutcherson). Vittoria però vuol dire cambiare vita e abbandonare familiari e amici per intraprendere il giro dei distretti, il cosiddetto “Tour di Victor”. Lungo la strada Katniss percepisce che la ribellione sta montando, ma che il Presidente di Capitol City (Donald Sutherland) cerca ancora a tutti i costi di mantenere il controllo. Ma Katniss nel frattempo è diventata il simbolo della rivolta, il punto di riferimento dei ribelli. Quale modo migliore, dunque, per farla fuori stroncando allo stesso tempo la speranza dei cittadini che tramutare i 75esimi Hunger Games, una particolare edizione che si tiene ogni venticinque anni, nei giochi più spietati mai visti? Questa volta sono chamati a combattere i vincitori ancora in vita dei vari distretti. Katniss e Peeta, unici vincitori del Distretto 12 insieme al loro mentore Haymitch (Woody Harrelson), dovranno tornare nell’unico luogo al mondo in cui non vorrebbero mai mettere più piede: l’Arena. E questa volta il vincitore sarà soltanto uno.

Protagonisti a parte (la Lawrence e Hutcherson offrono davvero un’ottima prova), fondamentali anche le performance dei comprimari, molti dei quali hanno contribuito al successo del primo film: da Woody Harrelson a Donald Sutherland e Lenny Kravitz, da Stanley Tucci a Philip Seymour Hoffman ed Elizabeth Banks. Ma l’aspetto che colpisce maggiormente de La ragazza di fuoco è senz’altro il ritmo: l’intero film è pervaso da una grinta che non abbandona mai la scena e le quasi due ore e mezza di durata volano via in un attimo. E poi c’è la strabiliante fedeltà al romanzo da cui il film è tratto, e qui l’applauso va ai due sceneggiatori Michael Arndt (Oscar per Little Miss Sunshine) e Simon Beaufoy (Oscar per The Millionaire) che hanno fatto l’impossibile per evitare di deludere i lettori della Collins.

Usciti dalla sala, risulta facile capire il successo planetario che la saga di Katniss, l’eroina munita di arco e frecce, sta riscuotendo soprattutto nei più giovani: la rabbia, la disposizione al massacro e la voglia di sopravvivere ad ogni costo che ritroviamo nel suo personaggio non sono poi concetti così distanti dal messaggio che la società in cu viviamo ci impone di abbracciare quotidianamente.
La storia dei Tribuni di Panem offre talmente tanti e continui rimandi al mondo reale che non viene percepita solo come fiction, ma come una sorta di universo parallelo, di chiaro stampo imperiale (non a caso i nomi degli abitanti di Capitol City sono di matrice neoclassica: Caesar, Seneca…) in cui soprusi e ingiustizie la fanno da padrone. Chiarissimo e ben assestato anche l’attacco alla società mediatica che pervade e invade il nostro secolo, un mondo in cui tutti guardano, scommettono e giudicano e in cui i reality ormai rappresentano la quotidianità. Ma i tempi di The Truman Show sono ormai superati. Attraverso il varco aperto da Jim Carrey alla fine del film di Peter Weir, (ricordate la volta celeste di cartongesso?), adesso si assiste alla realtà e i protagonisti ne sono ben consapevoli. Una realtà apparente, studiata a tavolino e quindi inevitabilmente fittizia e che proprio per questo non tiene conto del fattore “imprevedibilità” di cui Katniss, proprio come Truman, è portatrice sana.

Voto 8

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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