Venezia 71 – Giorno 7 – Video

Di Andrea Bosco
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Richard Jenkins,Lisa Cholodenko e Frances McDormand

Nell’entusiasmo generale per il capolavoro di Martone, ci eravamo dimenticati di includere nel computo di ieri un altro dei grandi protagonisti della Mostra, la miniserie HBO Olive Kitteridge, che porta pure un pizzico di glamour a una giornata sempre interessante, ma decentrata rispetto alla Mecca del cinema e ai suoi succedanei.

Frances McDormand con il marito Joel Coen

Fluviale, fedelissimo adattamento dell’omonima raccolta di racconti di Elizabeth Strout premio Pulitzer per la narrativa nel 2009 e capitolo fra i più rappresentativi del romanzo americano di inizio secolo, è un’opera di ampissimo respiro e di insostenibile coinvolgimento trainata fondamentalmente da due registri, quello sarcastico e maniacale della sua protagonista, una Frances McDormand superba e capace di restituirci un personaggio uno dei più meschini e ripugnanti della pagina scritta contemporanea, e quello tenero e amorevole del marito Henry (lo straordinario Richard Jenkins, al culmine del suo registro patetico e una volta tanto personaggio di primo piano). Le quattro ore abbondanti di durata non conoscono cedimento, riarrangiano il materiale di partenza con un sapiente gioco di rimandi, ellissi e salti all’indietro e confermano il talento puro di Lisa Cholodenko – rivelatasi anche da noi con il bel I ragazzi stanno bene – come misurata e provetta direttrice d’attori (nell’ultimo episodio c’è spazio anche per un breve contributo di Bill Murray, lunare e stranito come non mai).



Villa Touma

Villa Touma

Continua, nel frattempo, lo stato di grazia della Settimana della Critica – che si sta lentamente imponendo come la sezione migliore della manifestazione – con l’intrigante Villa Touma, esordio nella fiction della documentarista quarantacinquenne Suha Arraf. La sua è una graziosissima, affascinante e imprevedibilmente crudele “cenerentolata” israelo-palestinese in gran parte chiusa nell’edificio che dà il titolo al film in cui il tempo è rimasto, fra ridicole formalità a base di matrimoni combinati e anacronistica etichetta, forzatamente fermo al 1967 grazie alla ferrea gestione di tre sorelle zitelle (Nisreen Faour, Ula Tabari e la splendida Cherien Debis, quest’ultima presente nelle Giornate degli Autori dello scorso anno con il suo May in the Summer).

Gustave Kervern, Michel Houellebecq e Benoit Delepine

Gustave Kervern, Michel Houellebecq e Benoit Delepine

Nella sezione Orizzonti invece si impone una delle pellicole più esaltanti fra tutte quelle viste finora, forse la migliore extra-Concorso: si tratta di Near Death Experience, sortita nell’avanguardia degli autori di Louise-Michel Benoît Delépine e Gustave Kervern. L’esperimento, girato gloriosamente in un digitale di men che mediocre qualità, segue l’allucinato e in grandissima parte solitario girovagare per le montagne della Provenza di un uomo di mezza età – nientemeno che il celeberrimo scrittore Michel Houellebecq, ridotto a uno stato pietoso -, impegnato in surreali tentativi di suicidio, transfert psicologici estremi, monologhi sui massimi sistemi, gare di biglie con vagabondi e raptus inopinati (già di culto il ballo tarantolato a ritmo di War Pigs dei Black Sabbath). Insopportabile o irresistibile a seconda delle disposizioni, è un All is Lost in versione concettuale, folle e sconclusionata che azzecca un tono a metà fra l’elegia e la parodia di quest’ultima, rapendo, ammaliando, sfidando e persino divertendo lo spettatore dall’inizio alla fine.

Nobi

Nobi

Il concorso si riapre con l’unico ospite nipponico della selezione, il febbrile war-movie Nobi, che riporta nel circuito maggiore il cineasta di culto Shinya Tsukamoto dopo la vittoria in Orizzonti con il precedente Kotoko: il film non è solo la versione per lo schermo del più acclamato libro di Sh?hei ?oka, ma il remake, anzi, la copia pedissequa del celebre adattamento del 1959 a opera di Kon Ichikawa da noi distribuito col titolo Fuochi nella pianura e si fatica ad immaginare la necessità di un rifacimento così inutile e intempestivo (allora Nagasaki e Hiroshima erano ancora ferite apertissime e la rappresentazione della guerra da parte dell’autore de L’arpa birmana era in anticipo di decenni sul resto), perdipiù di un antecedente già di per sé estremamente affine alle tematiche e al linguaggio tsukamotiano – e infatti la mano del creatore di Tetsuo sembra paradossalmente scorgersi più nell’originale.

Alla fine Tsukamoto sembra aver capito ben poco della materia, puntando tutto sugli usuali compiacimenti a base di ultraviolenza, dettagli splatter e sarcasmo e non riuscendo a trasmettere neanche per un attimo il sincero messaggio pacifista di Ichikawa o la sua atmosfera autenticamente malsana. Nobi è quindi un compitino superfluo e svolto pigramente, che conquisterà soltanto schiere di fan irriducibili dell’alfiere cyberpunk che della pietra miliare di oltre mezzo secolo fa non hanno evidentemente neanche sentito parlare.

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