Big Hero 6

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Hiro Hamada è un piccolo genio della robotica che passa le notti in giro per i vicoli di San Fransokyo, partecipando ai bot fight, loschi combattimenti clandestini tra robot.
Durante queste scorribande, il ragazzo si trova spesso invischiato in beghe con personaggi molto poco raccomandabili da cui viene puntualmente tratto in salvo dall’adorato fratello maggiore Tadashi, dotato della sua stessa inventiva ma molto più posato e già avviato verso una brillante carriera presso il San Fransokyo Institute of Technology.
Proprio durante una visita all’istituto, Tadashi introduce Hiro alla combriccola di geek con cui lavora e gli mostra la sua creazione: Baymax, un robot gonfiabile che dispensa abbracci e svolge funzioni di assistenza medica e psicologica.
L’entusiasmo di Tadashi convince Hiro ad incanalare meglio il proprio talento e a sviluppare un progetto che gli permetta di accedere al piano di studi del prestigioso istituto.
La sera della presentazione dei progetti però qualcosa va storto e il giovane Hiro si ritrova, all’improvviso, a dover fronteggiare un dolore più grande di lui e a imparare a proprie spese quanto il confine tra bene e male spesso sappia essere sottile.



Dopo l’enorme successo di Frozen, la Disney alza ulteriormente il tiro e se ne esce con un capolavoro che si candida, con ogni probabilità, a diventare un classico immediato e un termine di paragone per il futuro.
Costato ben tre anni di lavoro, Big Hero 6 è il primo film dello studio di Burbank ad essere interamente basato su un franchise della Marvel (la cosa non dovrebbe stupire più di tanto, la Disney ha del resto comprato la Marvel già dal 2009) che, oltre a fornire l’ottimo materiale di partenza, suggerisce il taglio strutturale tipico dei suoi film di ultima generazione, appendice post-titoli di coda e cameo di Stan Lee compresi.
Lo stile visivo invece ce lo mette tutto la Disney creando un mix inedito e pressoché perfetto tra suggestioni manga e la propria tradizione, che si riflette sia nell’ambientazione (l’intuizione di un metropoli costruita intorno a un ibrido tra San Francisco e Tokyo è in tal senso felicissima) che nella sapiente caratterizzazione grafica dei personaggi e che è davvero una gioia per lo sguardo, a partire da un 3D che, qui come in pochi casi, sembra trovare finalmente una sua piena giustificazione.

Sintesi mirabile di tutte le istanze portate avanti dalla casa madre nel corso della sua ormai pluridecennale attività, Big Hero 6 è un fantastico altroquando in cui la più classica delle storie di formazione e di perdita dell’innocenza (l’elaborazione del lutto è un topos Disney, da Dumbo fino al Re Leone) va a braccetto con svariate suggestioni sci-fi (Asimov certo, ma c’è anche tanto A.I.) senza mai perdere di vista un profondo substrato di poesia che sembra mutuato direttamente dall’inconfondibile genio di Miyazaki.
Cos’è infatti Baymax se non una declinazione futurista de Il mio vicino Totoro?
Nella paciosa linearità di questo adorabile robot comandato da un chip che gli impedisce di commettere azioni cattive risiede tutto il senso di un film che riesce ad essere buono (buonissimo in realtà) senza mai essere buonista né tanto meno manicheo nella rappresentazione di categorie come bene e male, pur conservando una sua univoca morale dall’inizio alla fine.
Tutti avvisati quindi.
Che abbiate bambini o meno (immagino che da anni ormai nessuno sia più portato a credere che questi siano film per bambini) il must see delle feste di Natale è e rimane questo.

Voto 8

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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