Creed – Nato per combattere

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Los Angeles, 1975. Il giovane Sylvester Stallone è solo uno dei tanti aspiranti autori in bolletta che gira di studio in studio con il copione di un piccolo film tra le mani da lui scritto e che vuole assolutamente interpretare. Qualcuno gli propone di acquistarlo, ma il ruolo principale andrebbe ad altri. Sly non molla, sa di avere qualcosa di prezioso e continua a bussare alle porte dei produttori fino a quando, la United Artists non decide di puntare sul suo progetto: gli affida il ruolo principale e punta un milione di dollari sulla sua storia per farla diventare un film. Rocky. La tenacia di Stallone è la stessa che anima il personaggio che gli somiglia più di tutti quelli che ha interpretato e che ha rappresentato la chiave di svolta nella sua carriera. La storia del pugile di umili origini che trova nella boxe uno strumento di riscatto umano e sociale e che affronta sfide titaniche anche quando non ha nessuno a sostenerlo, è uno spunto narrativo di rara potenza, un inno alla riscossa che arriva dritto al pubblico con una semplicità disarmante, quindi sempre attuale.



Questa è stata la chiave del successo di Rocky e dei suoi cinque sequel, tutti sceneggiati e interpretati da Stallone. Per cui quando si è sparsa la voce che da una delle saghe più amate e longeve del cinema sarebbe stato tratto uno spin-off, un brivido ci ha attraversato il corpo. Ma Stallone tiene troppo alla sua creatura per buttarla via così e infatti con Creed questo non accade. Veniamo invitati a seguire la storia (e la riscossa, ça va sans dire) di Adonis (Michael B. Jordan), un ragazzo difficile che ha trascorso l’infanzia in un riformatorio e che scopre di essere il figlio di Apollo Creed, che non ha mai conosciuto. Adonis decide di iniziare a combattere e va a Philadelphia ad incontrare quello che è stato il più grande rivale ed amico del padre, Rocky Balboa. Tra i due si instaura un rapporto che va ben oltre quello tra allievo e maestro e che porterà il giovane Creed al match della vita.

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Hollywood sembra aver riscoperto il cinema generazionale (punto focale attorno al quale gira anche tutta la trama di  Star Wars: Il risveglio della Forza, tanto per citare il caso più recente e il più noto), costruendo film in cui i nuovi protagonisti vengono inseriti in immaginari ben presenti allo spettatore, accompagnati dai “vecchi eroi” in una sorta di passaggio di consegne effettivo e non solo simbolico. Creed non si allontana molto da questa tendenza anche se sceglie di non puntare sul nome di Rocky, che infatti nel titolo non compare. E’ come se il giovane regista Ryan Coogler (classe 1986, qui alla sua seconda prova dietro la macchina da presa dopo l’interessante esordio nel 2013 con Prossima fermata Fruitvale Station) con un eccesso di onestà, volesse dirci subito che stiamo guardando un’altra storia e che il film è incentrato sulle gesta di Adonis e non su quelle di Rocky.

Ma la bravura di Coogler, al servizio di uno script solido e nostalgico scritto insieme ad Aaron Covington, sta anche nell’essere riuscito a non confezionare un mero prodotto commerciale di facile successo al botteghino, bensì un dignitosissimo film sulla boxe emotivamente toccante (e qui la prova di Sylvester Stallone giustamente premiato con un Golden Globe, colpisce nel segno: vedere un Rocky così stanco e rassegnato, con gli occhi costantemente velati dal rmpianto, fa il suo male) che regala un nuovo eroe al pubblico più giovane e racconta le gesta di quello che fu con dignità e rispetto. Gli incontri girati in piano sequenza e il frequente utilizzo della camera a mano conferiscono un tocco di realismo alle immagini, mentre qualcosa di più poteva essere fatto, in fase di script, sul personaggio di Adonis che, nonostante sia il protagonista, rimane il meno caratterizzato.
Ma la sfida, per quanto ci riguarda, è vinta.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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