Eddie the Eagle – Il coraggio della follia

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Si può vincere una gara anche arrivando ultimi?
E’ questo, in buona sostanza, l’interrogativo mosso da Eddie the Eagle, biopic di Michael “Eddie” Edwards, primo inglese a gareggiare alle Olimpiadi nel salto con gli sci. E la risposta è evidentemente affermativa se Eddie (un irriconoscibile Taron Egerton), pur essendo tutt’altro che un campione in questa disciplina riuscì non solo a giocarsela con i più grandi, ma a diventare un autentico beniamino del pubblico.
Un sogno, il suo, coltivato per tutta la vita fin da un’infanzia segnata da una serie di problemi a ossa e ginocchia mentre chiunque intorno – dal severo padre che lo avrebbe voluto imbianchino come lui fino allo stesso staff olimpionico – gli consiglia di lasciar perdere e di dedicarsi ad altro.
In mezzo più o meno tutti i cliché che ci si aspetterebbe di trovare in un film che affronta il tema del riscatto da un punto di vista sportivo, madre complice e coach beone e inizialmente riluttante (Hugh Jackman) compresi. E un montaggio veloce di scene in cui il protagonista si allena con una canzone anni ’80 (per la precisione di Hall & Oates) a fare da sottofondo, ovvio.
Se a qualcuno poi le Olimpiadi invernali di Calgary dell’88 dovessero ricordare qualcosa, probabilmente è perché in quella stessa occasione gareggiò anche l’ormai leggendaria squadra giamaicana di bob le cui gesta erano raccontate in Cool Runnings.



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Eddie the Eagle rappresenta per l’appunto una crasi tra quest’ultimo film (ma il canovaccio è più o meno sempre lo stesso dai tempi di Rocky) e Forrest Gump, con cui il protagonista condivide un candore di fondo che contribuì poi a renderlo popolare fino al punto di essere invitato da Reagan alla Casa Bianca pur non avendo mai vinto nulla.
Se poi, arrivati a questo punto della lettura, doveste essere tentati di liquidare la pellicola come “derivativa” e magari soprassedere di fronte all’ipotesi di concedergli due ore scarse del vostro tempo, va detto che, malgrado una struttura che definire già vista è poco, Eddie the Eagle funziona.
Funziona innanzitutto per una leggerezza di fondo che imbriglia la storia nei canoni della commedia senza lambire il (pur facile) dramma, rendendola così un inno all’ottimismo e al non darsi mai per vinti di cui, al cinema, c’è sempre un gran bisogno. Così come funziona il cast, con un Egerton insospettabilmente maturo nella sua caratterizzazione di Edwards: di certo buffa ma non macchiettistica, Hugh Jackman che fa Hugh Jackman e – relegati in ruoli forse un po’ troppo di contorno ma perfettamente funzionali alla bontà del risultato finale – due caratteristi di lusso del calibro di Christopher Walken e Jim Broadbent.

La regia di Dexter Fletcher poi è abile nel suggerire allo spettatore tutta la difficoltà tecnica del salto con gli sci e la considerevole dote di incoscienza di cui doveva essere dotato il protagonista anche solo per pensare di lanciarsi a folle velocità da un trampolino alto novanta metri senza averlo mai fatto prima.
Cinema orgogliosamente medio insomma, e classico perché anche stilisticamente vicino a un’estetica eighties, Eddie the Eagle regala uno spaccato di onestà normalità british che, sebbene non dica nulla di nuovo, lo fa bene e, soprattutto, fa abbastanza bene al cuore.
E non stupisce affatto che a produrre il tutto ci sia uno come Matthew Vaughn: sia Kick-Ass che Kingsman – Secret Service (quest’ultimo con lo stesso Egerton protagonista) dicono in fondo le stesse cose, con le differenze stilistiche del caso.
Perché Michael “Eddie” Edwards, nel suo superare i propri limiti fisici e caratteriali fino a diventare per tutti “The Eagle”, è quanto di più simile a un supereroe si possa incontrare nella vita reale.
Un supereroe goffo e ingenuo, ma pur sempre un supereroe.

Voto 6,5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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