La tartaruga rossa

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Torna a raccontare il ciclo della vita, l’illustratore, animatore e regista olandese Michaël Dudok de Wit, proprio come fece nel 2001 con Father and Daughter, lo splendido corto meritatamente premiato con l’Oscar. Quest’anno de Wit l’Oscar lo ha solo sfiorato (Zootropolis della Disney ha avuto la meglio), ma ciò non toglie che La tartaruga rossa sia uno dei film d’animazione più potenti ed elevati visti di recente, una vera e propria meteora nel sempre più variegato cielo dei cartoon, che arriva nelle sale come evento speciale solo il 27,28 e 29 marzo.



Leggenda vuole che de Wit abbia ricevuto una lettera da parte dello Studio Ghibli nella quale gli veniva comunicato quanto Miyazaki e gli altri avessero apprezzato Father and Daughter, e chiesto di realizzare un lungometraggio con loro. Considerato che normalmente lo Studio non collabora con autori che non siano giapponesi, possiamo immaginare la sorpresa di de Wit. Un passo importante compiuto verso l’animazione occidentale, quella mostrata da Ghibli, che se da un lato appare come una difformità all’interno del proprio, rigoroso catalogo, dall’altro invia anche un importante messaggio di apertura verso una sensibilità artistica diversa, quella europea. La tartaruga rossa spicca infatti per questo suo essere un’opera dal respiro e dalle ambizioni internazionali (regista olandese, co-sceneggiatore francese, Pascale Ferran, animazione Made in Francia, dalla Wild Bunch, e direzione artistica del giapponesissimo Isao Takahata co-fondatore, insieme a Miyazaki, dello Studio Ghibli) la cui particolarità – la totale assenza di dialoghi – la rende universale e fruibile ad ogni latitudine.

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Il film si apre con un uomo in balia di una tempesta. Le onde accompagnano il naufrago fino a una piccola isola, poco più di uno scoglio circondato da una fitta foresta di bambù. Deciso a fuggire, inizia a costruirsi una zattera per tentare di riprendere il mare e tornare alla civiltà, peccato che una gigantesca tartaruga rossa tenta di impedirglielo in ogni modo.

Favola immortale dalle sfumature sublimi e malinconiche, La tartaruga rossa è puro incanto figurativo. La prima produzione europea dello Studio Ghibli prende per mano lo spettatore e lo conduce all’interno di una dimensione poetica fuori dal tempo, svincolata da ogni epoca e contesto storico, fatta di silenzi e luoghi dell’anima nei quali la parola tace e la vita dei personaggi si anima attraverso la semplicità dei gesti. Frutto di una perfetta commistione tra Oriente e Occidente, La tartaruga rossa è il risultato di una perfetta alchimia che attraverso disegni dai toni pastello, si muove su terreni emotivi tenui solo all’apparenza, in realtà attraversati da una forza lenta e implacabile e da una profondità tematica difficilmente rintracciabile nei film animati. Da non perdere.

Voto 8

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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