Cuori puri

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Roberto De Paolis presenta la sua opera prima Cuori puri alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes. È la storia di Agnese (Selene Caramazza) che ha quasi 18 anni, frequenta regolarmente la chiesa e sta per compiere una promessa di castità fino al matrimonio e di Stefano (Simone Liberati) che di anni ne ha 25 e lavora come custode nel parcheggio di un centro commerciale confinante con un campo rom. L’incontro tra due realtà apparentemente agli antipodi ne fa emergere l’unica cosa in comune: entrambi vivono in gabbia. Lei è infatti vittima di una madre amorevole ma fin troppo devota e lui di un ambiente in cui, se non spacci o rubi, fai la fame. Dalla collisione tra questi due mondi però nasce un sentimento vero, fatto soprattutto di silenzi e momenti rubati.



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Il tema della verginità come indagine su un corpo che cerca giocoforza di conservare parte della propria innocenza – già affrontato da Laura Bispuri nel notevole Vergine giurata – è uno degli elementi chiave di qualsivoglia ortodossia religiosa, sia che si parli dei Testimoni di Geova come nel recente La ragazza del mondo, sia che si propenda per un approccio meno esterno rispetto al soggetto trattato.E, nel suo approcciare la “nostra” religione cattolica, De Paolis sgombra subito il campo da eventuali fraintendimenti evitando prese di posizione forti. Si pone quindi esattamente a metà strada tra una madre bigotta ai limiti dell’invasato (Barbara Bobulova) e un sacerdote al contrario comprensivo e del tutto privo della veemenza dogmatica che ci si aspetterebbe di vedere rappresentata in un’opera magari più critica verso certe scelte di vita. La stessa (non) scelta di campo viene fatta su un versante sociale in cui i rom non vengono visti né come anime candide, semplici capri espiatori di una società che si sciacqua la bocca col politically correct per poi sciorinare sotto voce il solito “non sono razzista però gli zingari…”, né tanto meno come mostri dediti per lo più al furto o agli stupri.

Cuori puri in sostanza non vuole dare alcuna risposta, semmai porre domande, alcune delle quali tutt’altro che banali. Laddove invece De Paolis si mostra assai più rigido è in uno stile visivo tutto camera a mano e personaggi che camminano inquadrati da dietro, come se i fratelli Dardenne dovessero essere l’unico e solo punto di riferimento tangibile quando si parla di intimismo e periferia. Per fortuna il cuore pulsante del film è altrove, in due giovani protagonisti (bravissimo Simone Liberati, sorta di James Franco di borgata già intercettato in Suburra e in Viva la sposa di Ascanio Celestini) che rappresentano in pieno la purezza suggerita dal titolo donandosi alla macchina da presa in maniera totalizzante. La loro prima volta, ad esempio, è uno di quei momenti in cui cinema e vita vera si fondono fino a mettere quasi imbarazzo e ricorda allo stesso tempo sia i Kids di Larry Clark che gli amplessi infiniti de La vita di Adele. In definitiva un esordio sincero, non privo di felici intuizioni che speriamo in futuro riescano ad accompagnarsi al definitivo affrancamento dell’autore da certi modelli stilistici ancora troppo forti.

Voto 6

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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