Valerian e la città dei mille pianeti

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Prima di tutto un po’ di freddi numeri. Con il suo budget da200 milioni di dollari Valerian e la città dei mille pianeti è infatti il film europeo più costoso di sempre. Peccato che gli incassi raggranellati finora non bastino neanche a coprirne le spese. Un segnale poco incoraggiante per un’opera che,oltre a rappresentare per Luc Besson un sogno nel cassetto coltivato fin da quando era bambino, almeno sulla carta, avrebbe dovuto essere il primo atto di una trilogia che, allo stato dei fatti, sembra quanto meno improbabile.
Certo, la rischiosa uscita in concomitanza con blockbuster del calibro di The War – Il Pianeta delle Scimmie e Dunkirk non deve aver aiutato affatto, così come la scelta di non distribuire il film prima in Francia, dove un eventuale successo avrebbe se non altro aiutato la promozione in altri paesi dove il fumetto da cui è tratto – la serie cult a fumetti Valérian et Laureline di Pierre Christin e Jean-Claude Mèziéres – è meno conosciuto.
Ciò detto parliamo del film in sé, che non è il disastro che le first reaction statunitensi pure lasciano intendere. Se la scrittura di Besson – unico titolare della sceneggiatura – risulta infatti fin troppo elementare e, alla fine, stipa buona parte dei (troppi) 137 minuti di film di dialoghi spesso imbarazzanti su come l’amore possa salvare l’universo, gli spunti visivi sono notevoli, ricchi di quella vitalità colorata e ribelle tipica dell’autore francese che non può non rievocare i fasti deIl quinto elemento, film che, di fatto, aveva già in nuce la maggior parte delle istanze qui presenti.
Il film, anzi, parte benissimo, con l’ouverture/omaggio a Bowie di “Space Oddity” a fare da colonna sonora ad una serie di ellissi temporali utili a spiegare la storia dei nostri viaggi nello spazio, l’incontro con altre forme di vita e, come diretta conseguenza, la genesi di Alpha, una metropoli in continua espansione la cui popolazione è composta da migliaia di specie diverse da tutti e quattro gli angoli dell’universo. Poi, subito dopo l’introduzione dei due anodini (mini) eroi interpretati dai lanciatissimi Dane DeHaan e Cara Delavingne Besson si instrada sul facile percorso dell’avventura intergalattica, senza però uno script che metta in evidenza né i lati più ridanciani della faccenda (come fatto, ad esempio, benissimo dal dittico de I guardiani della galassia) né, tanto meno, quelli più distopici e dark.
Le reiterate scaramucce amorose tra Valerian e Laureline, ça va sans dire, non contribuiscono a migliorare le cose. Valerian soffre, in buona sostanza, dei difetti che affliggono quasi tutto il cinema post-Léon di Luc Besson e che sono sintetizzabili sotto un unico termine ombrello: l’eccesso. Come già accennato Besson eccede sia in budget che in minutaggio, ma non solo.



 

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Laddove infatti una trama così lineare non richiederebbe alcun tipo di “spiegone”, invece Besson, timoroso forse che la durata eccessiva possa favorire qualche calo nell’attenzione del pubblico, riesce a infilarcene almeno qualcosa come tre di seguito – uno meno necessario dell’altro – con il risultato che quasi tutti i dialoghi della comunque spettacolare mezzora finale ricordino in maniera un po’ inquietante i continui recap infilati tra un discorso e l’altro in certe soap opera.
La componente testuale del film va dunque in direzione decisamente opposta e contraria alle sue mirabilie estetiche, sebbene alla fine siano senza dubbio queste ultime a prevalere. Dinanzi a una tale cura di ogni dettaglio visivo anche minimo, si riesce addirittura a soprassedere su una storia che sa di anni Novanta invecchiati maluccio e sui suoi due protagonisti così svogliati e fuori fuoco.
Si comporta decisamente meglio il reparto dei comprimari con, in prima fila, un divertito Ethan Hawke/pappone intergalattico e il villain Clive Owen. Piace anche Rihanna, che Besson riesce a piegare alle proprie esigenze narrative senza snaturarne la valenza finemente pop, ma anzi cavalcandola regalandole il ruolo un’aliena dalle capacità fisiche camaleontiche.
Valerian e la città dei mille pianeti non è quindi un brutto film, niente affatto. Forse è solo un film sbagliato, ma più nelle tempistiche produttive che non nella forma. Fosse uscito una decina di anni fa – diciamo subito dopo Avatar – quel sentore di déjà-vudi sicuro si sarebbe fatto sentire meno. Resta il fatto che vedere un blockbuster con un tale coefficiente di spettacolarità provenire da oltralpe anziché da Hollywood fa comunque un certo effetto. Chapeau!

Voto 5,5

 

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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