Wolfman

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Dopo una travagliata post produzione, cambi di regia e una serie di slittamenti della data di uscita, ecco finalmente arrivare in sala Wolfman. Remake del classico dei Monster Movie a cui la Universal ha dato un volto di celluloide negli anni Quaranta e Cinquanta (pensate a Frankenstein, Dracula o La mummia), il film di Joe Johnston non delude affatto le aspettative. Noto al grande pubblico per aver diretto il poco fortunato Jurassic Park III e il più riuscito Jumanji, l’autore riesce ad attualizzare la figura del licantropo senza forzarla o ridicolizzarla.



L’infanzia di Lawrence Talbot (Benicio Del Toro) termina la notte in sua madre viene a mancare. Dopo aver lasciato il villaggio di Blackmoor, nei pressi di Londra, gira il mondo facendo l’attore, cercando di dimenticare quella tragedia. Ma quando la fidanzata di suo fratello (Emily Blunt), lo rintraccia per chiedergli di aiutarla a ritrovare il suo promesso sposo, Lawrence decide di ritornare a casa dall’anziano padre (Anthony Hopkins) per unirsi alle squadre di ricerca. Viene a sapere così che un essere non meglio identificato sta sterminando gli abitanti di Blackmore.

Sin dalla prima scena un certo odore burtoniano pervade l’olfatto dello spettatore: si ritrova molto di Sleepy Hollow in Wolfman (non a caso lo scenografo è lo stesso Rick Heinrichs che nel ’99 vinse l’Oscar per il film di Burton), e non è affatto un male. I costumi di Milena Canonero e le location da brivido vengono in aiuto a un cast di prim’ordine: Sir Hopkins in primis, carismatico come e più del solito, in ottima compagnia con Emily Blunt, Del Toro e Hugo Weaving, che passa con disinvoltura dal ruolo dell’agente Smith di Matrix a quello del detective Aberline, incaricato da Scotland Yard di uccidere “la bestia”. Lo zampino di Rick Backer, mago del make-up, completa l’opera: chi meglio di lui poteva trasformare il volto di Del Toro in quello dell’uomo lupo? Premio Oscar per Un lupo mannaro americano a Londra, Baker si affida ad un trucco artigianale, fatto di protesi in resina e peli posticci, proprio per lasciare alla trasformazione dell’uomo in bestia quel sapore classico che la lega a quella a cui si sottopose Lon Chaney Jr. nel ’41 o David Naughton nel film di Landis. Gli effetti speciali in CGI, naturalmente, ci sono, ma estremamente funzionali, e limitati a poche scene. Azione, horror, intrattenimento e una buona dose di splatter: gli elementi per trascorrere una serata all’insegna del brivido ci sono tutti. Se poi volete aspettare il plenilunio…

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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