Millennium: Uomini che odiano le donne

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Una domanda prima di tutto. Era davvero necessario realizzare il remake di un film uscito tre anni fa? Forse per gli americani sì, dato che in pochi avranno saputo dell’esistenza in circolazione del primo Millennium: Uomini che odiano le donne svedese, diretto da Niels Arden Oplev nel 2009. Quindi, tutto da rifare. Quel film non era affatto male, certo aveva dei limiti, ma era piaciuto in Europa. Un po’ perché i romanzi di Larsson, particolarmente apprezzato nel vecchio continente, gli hanno fatto da traino, e un po’ perché la pellicola di Oplev era differente dalle centinaia di polizieschi che ogni anno approdano nelle nostre sale direttamente dagli States: sullo schermo scorreva un giallo ambientato in un paese poco conosciuto come la Svezia, con delle realtà e dei meccanismi assolutamente lontani dal cinema che siamo abituati a vedere (che principalmente si riduce a qualche film italiano e molti americani, tranne rare eccezioni), per di più realizzato da un cast svedese. Tra l’altro i due protagonisti erano stati scelti con un certo criterio, tant’è che ora sono riusciti a farsi strada in quel di Hollywood: ultimamente abbiamo apprezzato Noomi Rapace, lanciata dal film di Oplev nei panni di Lisbeth Salander, in Sherlock Holmes Gioco di Ombre, e presto la vedremo anche in Prometheus, di Ridley Scott. Stessa sorte è toccata a Michael Nyqvist, che interpretava Mikael Blomkvist, e che si è guadagnato il ruolo del villain in Mission: Impossible – Protocollo Fantasma.



Tutto questo per far capire che una parte di mondo non sentiva affatto il bisogno di un altro Uomini che odiano le donne. Ma gli americani evidentemente sì. La Sony ha preso la decisione, e “il film s’ha da fare”. Per lo script il produttore Scott Rudin ha chiamato l’esperto Steven Zaillian (Premio Oscar per la sceneggiatura di Schindler’s List, oltre che autore di Gangs of New York e del recente Moneyball: L’arte di vincere, tanto per dire), mentre alla regia ha voluto qualcuno che fosse in grado di masticare questo tipo di noir, magari uno come David Fincher, reduce dal successo di The Social Network, ma arrivato sulla cresta dell’onda grazie a Se7en e Fight Club. Poi ci sono gli attori: Daniel Craig (perfetto in questo ruolo) che potrebbe sembrare benissimo svedese con quei colori e quei lineamenti. Mentre la nuova Lisbeth Salander, Rooney Mara, è stata scelta dopo centinaia di provini. E ora, alla sua prima volta, si ritrova con una nomination all’Oscar. Brava, sì, ma non da strapparsi i capelli.

La trama, in due parole: il noto giornalista Mikael Blomkvist (Daniel Craig), aiutato della giovane e ribelle hacker Lisbeth Salander (Rooney Mara,) accetta un incarico dal ricco industriale H. Vanger: indagare sulla scomparsa della nipote Harriet, avvenuta quarant’anni prima. Dopo mesi di ricerche, Mikael e Lisbeth scopriranno una sconvolgente quanto inaspettata verità.
Il risultato finale, nonostante i nomi altisonanti in gioco, ci ha lasciati un po’ interdetti. Uscendo dalla sala dopo aver visto la versione americana di Uomini che odiano le donne, la sensazione è stata quella di un alunno bravo che ha fatto i compitini come gli ha chiesto la maestra. Indubbiamente il film è buono, ben girato (Fincher non è un pivello, lo sappiamo) ed interpretato, ma appare freddo e distaccato: su commissione. Manca tutto quello che il regista era riuscito a mettere in Zodiac: la suspense tipica del noir, i meccanismi della detection che portano lo spettatore a fare lente scoperte prima che la verità venga mostrata in tutta la sua crudezza, lo spirito utopistico che animava i personaggi impegnati nella ricerca del mostro di turno. Di questo spirito non c’è traccia. E un po’ dispiace.
Un elogio particolare, invece, va ai titoli di testa, piccolo capolavoro di videoarte adagiato sulle note di Immigrant Song dei Led Zeppelin, nella versione di Trent Reznor e Atticus Ross, interpretata dalla frontwoman degli Yeah Yeah Yeahs Karen O.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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