Last Vegas

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Invecchiando cambiano le priorità, la vita passa rapidamente e occorre prendere le cose con più leggerezza.”
(Robert De Niro)



Prologo.

Più o meno nel 1997, immediatamente dopo aver recitato nell’immenso e mai troppo incensato Jackie Brown di Tarantino, uno dei più grandi attori al mondo decise che evidentemente aveva già dato e non gli rimaneva più nulla da dimostrare.
Cominciò dunque ad accettare copioni come se non ci fosse un domani, spesso dando l’impressione di non leggerli neanche.
Tra commedie appena decenti (la trilogia di Ti presento i miei)  e tonfi clamorosi (Manuale d’amore 3, solo per citarne uno) la fase matura della carriera di De Niro si è trascinata avanti quasi come in un tentativo, perseguito con rara pervicacia, di distruggere tutto ciò che di buono – quando non superlativo – avesse fatto in precedenza (eccezion fatta per il suo ruolo ne Il lato positivo, per cui è stato meritatamente candidato all’Oscar lo scorso anno).

Oggi.

Nel 2014 la parabola discendente intrapresa all’epoca dall’attore trova il suo picco negativo in questa sorta di versione geriatrica di Una notte da leoni in cui vediamo Billy (Douglas), Paddy (De Niro), Sam (Kline) e Archie (Freeman), amici da quando erano poco più che bambini, che ormai acciaccati e vicini ai settanta, si ritrovano a Las Vegas per festeggiare l’addio al celibato di Billy all’indomani del suo – in verità neanche troppo convinto – matrimonio con una vispa trentenne.
L’occasione, tra episodi goliardici e riflessioni sul tempo che passa, li porterà a rinverdire la loro amicizia e a cercare di sciogliere alcuni nodi del passato.
Il film di Turtletaub (Il mistero dei templari, L’apprendista stregone) è, senza ricorrere a troppi giri di parole, un brutto film.
Ma non si limita a essere semplicemente brutto.
Last Vegas infatti è anche sciatto, in alcuni momenti decisamente volgarotto e – in definitiva – sbagliato, perché fallisce nella sua unica finalità che, immaginiamo, dovesse essere quella di far ridere.
I mostri sacri chiamati a interpretare questa innocua commediola, cercando di sopperire col mestiere alla povertà dello script, qualche punticino al film riescono pure a farlo guadagnare, ma – a parte De Niro di cui abbiamo già detto – che tristezza vedere un attore della raffinatezza di Kevin Kline armeggiare con preservativi e Viagra o Michael Douglas, reduce dallo straordinario Dietro i candelabri, prestare le sue rughe spettacolari a questo scempio.

Ecco, se proprio si ha voglia di un film che rifletta sulla terza età è al capolavoro di Soderbergh che vale la pena rivolgersi. O al bellissimo Nebraska di Alexander Payne, lasciando stare questa sciocchezzuola che altro non fa che prendere tutti i luoghi comuni tipici delle commedie collegiali americane (da Animal House a Old School) per declinarli in chiave matura.
Che poi l’ennesimo passo falso attoriale di De Niro trovi la via delle sale italiane lo stesso giorno di uscita di The Wolf of Wall Street dell’amico, e un tempo suo complice e sodale, Martin Scorsese – questo sì – fa abbastanza sorridere.

Voto: 3

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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