Ti ricordi di me?

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Corteggiare una ragazza soggetta a frequenti episodi di amnesia non deve essere cosa facile.
Reiterare all’infinito la spinosa esperienza delle presentazioni e ricominciare ogni volta daccapo il processo di conquista dell’oggetto del proprio desiderio è qualcosa che spingerebbe anche gli animi più romantici alla rinuncia.
Roberto (Edoardo Leo), cleptomane, scrittore di favole surreali come Alice nel paese dei terremotati e La foresta dei barboni assiderati e sognatore incallito, invece non demorde e quando incontra Bea (Ambra Angiolini), insegnante narcolettica affetta da perdite di memoria successive a qualsiasi picco emozionale, decide di inseguirla con una tale, seppure timida, ostinazione che alla fine riesce a conquistarla.
Ma cosa succede dopo?
E’ possibile costruire un rapporto sul dubbio che quanto realizzato possa sparire, da un momento all’altro, dalla memoria della persona amata?



E’ su questo intrigante spunto che si fonda il secondo film da regista dell’attore Rolando Ravello (Tutti contro tutti), tratto dalla pièce di Massimiliano Bruno (interpretata a teatro dagli stessi Leo e Angiolini) e sceneggiato insieme a Paolo Genovese (regista tra l’altro del recente Tutta colpa di Freud).
Sebbene il soggetto ricordi un po’ troppo da vicino 50 volte il primo bacio, è evidente fin da subito la volontà degli autori di costruire una storia che si avvicini agli standard di certe commedie romantiche americane.
Si nota in primis nella caratterizzazione aperta e non tagliata con l’accetta dei personaggi (soprattutto quelli secondari) e nel tentativo di far sorridere anche di problematiche che altrove verrebbero affrontate con piglio ben più serio.
E per una buona mezzora Ti ricordi di me? riesce anche nel suo intento.
Sebbene l’incipit fiabesco con voce off faccia temere sulle prime una deriva pieraccionesca, Ravello è abile nel rallentare, prendendosi i tempi giusti della narrazione e tenendosi allo stesso tempo ben lontano dalla ricerca della facile risata.
A un tratto però fa un errore madornale.
E’ come se l’autore si ricordasse all’improvviso di essere italiano e decidesse di inserire per forza una linea narrativa drammatica, come a voler negare al film la sua dignità di opera leggera.
Solo che lo fa troppo tardi, a film già ampiamente definito e, dovendo rispettare delle rigide regole di minutaggio – ché Ravello non è James L. Brooks come Genovese non è Nora Ephron – è costretto a chiudere tutto in gran fretta.

Se questo scivolone non è tale da compromettere l’intera riuscita del film, ne limita comunque parecchio il potenziale.
La commedia dai risvolti amari è del resto faccenda complicata e in questi casi viene da pensare a come la figura di un autore come Carlo Verdone vada assolutamente rivalutata e preservata.
Sul versante dei lati positivi c’è senz’altro da evidenziare la piacevole conferma di Rolando Ravello come abile regista di attori, di un Edoardo Leo reduce da un’annata spettacolare (è in quasi tutti i film italiani usciti a cavallo tra lo scorso anno e questo inizio 2014) e di un finale lieto ma non troppo.
Aspettiamo di vedere Ravello alla sua prossima prova da regista, sperando che sappia decidere con maggiore fermezza tra il cavalcare gli stilemi della commedia (amara) all’italiana o magari trovare un cifra stilistica più personale.

Voto 5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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