La mossa del pinguino

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Bruno (Edoardo Leo) e Salvatore (Ricky Memphis) sono, ognuno a modo suo, due sognatori.
Amici da quando erano bambini, non hanno mai fatto il passo definitivo verso l’età adulta e, alla luce dei problemi con cui si trovano quotidianamente a convivere (la difficoltà di garantire un alloggio alla famiglia per Bruno e un padre malato di Alzheimer per Salvatore) questo appare più come una lucida scelta per riuscire a digerire una realtà a volte troppo dura che non come una forma di immaturità.
Impiegati come guardiani notturni in un museo, Bruno e Salvatore passano le loro notti a progettare folli piani per “svoltare” e l’ultimo forse è il più folle di tutti: partecipare alle Olimpiadi invernali di Torino 2006 come squadra italiana di Curling.
Totalmente a digiuno dei rudimenti di questo poco conosciuto sport, i due assoldano quindi un vigile urbano in pensione (Ennio Fantastichini) e un attempato biscazziere (Antonello Fassari) con cui imbarcarsi in una tragicomica impresa che, tra non poche difficoltà, li porterà a un passo dallo sfiorare il sogno olimpico.



Esordio alla regia per Claudio Amendola che, per l’occasione, chiama a raccolta compagni ormai abituali (Antonello Fassari) e il vecchio amico Ricky Memphis (non sembra ma da Ultrà sono passati più di vent’anni) per confezionare una commedia dolceamara che funziona un po’ come uno strano ibrido tra Full Monty e una puntata dei Cesaroni.
Basato su un soggetto scritto da tre giovani autori (Andrea Natella, Giulio Di Martino e Michele Alberico) e poi riadattato da Amendola e Leo in chiave più nazional-popolare, La mossa del pinguino è un film che, nelle intenzioni dello stesso regista, vorrebbe rinverdire la tradizione della commedia all’italiana di Monicelli e Steno e a momenti sembra addirittura riuscirci. Lo fa soprattutto in virtù della felice scelta del cast: Edoardo Leo in primis, con questo quarantenne pieno di coraggioso ottimismo, si conferma infatti attore molto completo – non stupisce affatto in quest’ottica la quantità di film a cui ha partecipato solo quest’anno (si va da Tutta colpa di Freud al piccolo cult Smetto quando voglio) – con Fassari e Fantastichini, portatori sani di una romanità mai ostentata e macchiettistica, a fungere da ideale contraltare generazionale.
Uno dei pregi del film è proprio nella capacità dei suoi interpreti di non andar mai a parare nei territori della risata più becera per cercare invece la leggerezza anche in pieghe meno allegre del racconto.

Laddove invece il film non riesce ad andare oltre un fastidioso senso di medietà è in una regia che non si discosta da certi paradigmi rigidamente televisivi. Mai un guizzo stilistico a movimentare una visione in cui, per molti versi, si sciupa uno script per niente banale per inserirlo in una cornice di già visto. Qualsiasi inquadratura de La mossa del pinguino è comprensibilmente al servizio degli attori e se da un lato questo difetto di ingenuità può essere imputato all’inesperienza dell’Amendola regista, va però ricordato come altri attori, una volta passati dietro la macchina da presa, abbiano dimostrato maggiore coraggio, uno su tutti Kim Rossi Stuart e il suo pregevole e sottovalutato Anche libero va bene.
Resta però il tentativo di guardare alla difficile realtà di questi anni con grande sincerità, proponendo un messaggio di speranza per un nuovo e inconsapevole proletariato (a tale categoria appartengono i quattro protagonisti del film) per cui molto spesso la speranza è merce più che rara.
E in tempi in cui si continua a ridere (poco) per Pieraccioni e Christian De Sica non è affatto poco.

Voto 6

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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