La buca

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Oscar (Sergio Castellitto) e Armando (Rocco Papaleo) sono facce diverse della stessa solitudine.
Il primo è un avvocato truffaldino sempre pronto a intentare cause basate sul nulla pur di sbarcare il lunario, mentre il secondo è null’altro che un povero disgraziato appena uscito di galera dopo aver scontato una lunga pena per un reato mai commesso.
Tanto Oscar è misantropo e refrattario a qualunque tipo di contatto umano quanto Armando, nonostante gli anni di carcere, nutre ancora un sentimento di fiducia verso il prossimo ai limiti del naif.
Quando i loro mondi entrano in collisione, sulle prime, Oscar pensa di raggirare Armando ma poi, una volta venuto a conoscenza dell’ingiustizia subita da quest’ultimo, tenta di convincerlo a farsi rappresentare per un processo di riapertura del caso che dimostri la sua innocenza e garantisca a entrambi un cospicuo risarcimento.
Da qui ha inizio un’improbabile e comica convivenza tra i due che li porta a indagare sugli eventi che trent’anni prima hanno condotto alla condanna di Armando.
A rendere le cose ancora più complicate c’è Carmen (Valeria Bruni Tedeschi), una bellissima barista che riesce, in qualche modo, a far breccia nel cuore di entrambi.



Dopo i buoni riscontri di E’ stato il figlio, Daniele Ciprì si cimenta per la seconda volta nella regia in solitaria e, per l’occasione, abbandona del tutto il cinismo che lo ha accompagnato sin dai tempi del sodalizio con l’ex socio Franco Maresco, giocando  la carta di un singolare ripescaggio di umori e situazioni tipiche della commedia all’italiana ibridandola però, nello stile, con suggestioni mutuate da oltreoceano, tipiche della migliore tradizione screwball.
L’intuizione, per molti versi già geniale di suo, viene radicalizzata con coraggio dall’autore attraverso due step: l’allontanamento dalla Sicilia – unico baricentro del suo cinema fino a ieri – e l’annullamento di qualsiasi riferimento reale di spazio e tempo.
Il film, interamente girato negli studi di Cinecittà, è ambientato infatti in un contesto urbano palesemente irreale e stilizzato, un “non luogo” che, alla stregua della Parigi di Jean-Pierre Jeunet o della suburbia onirica di Edward mani di forbice, non ha alcun elemento che lo connoti in termini temporali.
I vestiti, gli ambienti e le automobili potrebbero appartenere agli anni quaranta ma, da un certo punto della pellicola in poi, appare chiaro come la ricerca di qualsiasi appiglio con la realtà risulti in realtà pleonastico.
I luoghi abitati da Oscar e Armando sono quelli dell’immaginario, di un cinema che, almeno nella sua forma più pura, non esiste più da tempo e che Ciprì omaggia a più riprese.
Difficile infatti non cogliere i numerosi rimandi a Billy Wilder nelle dinamiche della strana coppia Castellitto/Papaleo o il curioso omaggio a Mel Brooks e al suo Frankenstein Junior posto a suggello di una delle scene più divertenti del film.

E’ talmente estremo il tentativo di Ciprì di produrre un film fuori dall’ordinario, da portarlo a coinvolgere un attore come Castellitto, l’interprete forse più istituzionale (e, per questo, più rassicurante) che ci sia in Italia, per regalargli il suo ruolo più grottesco dai tempi de La Carne di Marco Ferreri.
Ora, al netto delle dissertazioni cinefile, qualcuno adesso potrebbe anche chiedersi semplicemente “Ok, ma il film com’è?”.
E’ strano.
Strano per i suoi personaggi così bislacchi e scollati dalla realtà e strano nel suo essere un lavoro che risulta sperimentale pur parlando il più classico dei linguaggi cinematografici, ossia quello della commedia.
Strano perché flirta con generi poco battuti come il grottesco, la fiaba e il cartoon di cui si serve per aprire l’opera.
Strano perché mai divertente in senso ridanciano (non è, per intenderci, un film di battute) ma informato di una leggerezza sognante e contagiosa davvero inusuale per gli standard nostrani.
Ma, oltre ad essere uno strano oggetto, La buca è anche un film generosissimo di trovate che, proprio in virtù di questa generosità, non è esente da una serie di difetti, sia nella scrittura che negli eccessi caricaturali in cui a tratti cade la recitazione.
Ma sono pur sempre i difetti di un film d’autore che osa senza mai essere ostico e che si assume il rischio di poter piacere a tutti senza mai ricorrere a facili trucchi.
Difetti molto più che perdonabili quindi.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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