Latin Lover

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Bellezza solare anni Cinquanta, sorriso tenero e accattivante e irresistibile fascino latino, al secolo Francesco Scianna (già interprete per Cristina Comencini de Il più bel giorno della mia vita) è l’ex modello di  Dolce & Gabbana ad interpretare il fantasma che aleggia per tutto il film. Il fantasma di Saverio Crispo, latin lover e dongiovanni impenitente. Un passato ingombrante, denso di mogli, compagne, figlie legittime e illegittime, una carriera di attore da vera e propria icona del cinema italiano, capace di spaziare dalla commedia al western con incursioni nel cinema politico impegnato degli anni Settanta.



Crispo rappresenta Mastroianni, Gassman, Volontè, spudoratamente omaggiati in citazioni di opere che fanno il verso al Sorpasso, all’Armata Brancaleone, ai western all’italiana e a tanti altri classici. C’è il suo nome sulla lapide che ne commemora il decennale della scomparsa, posta sulla casa natale in un bellissimo paese salentino (forse la cosa migliore del film).
Proprio questo anniversario e le celebrazioni indette dal comune sono l’occasione per riunire la famiglia allargata, più che altro un harem, nella grande villa dove la prima moglie, la splendida Virna Lisi, aveva accolto e poi accudito, novella Penelope, lo sposo reduce dalle avventure cinematografiche e amorose in Francia, Spagna, Svezia e Stati Uniti.
Ogni tappa una figlia: e ora tutte insieme a scambiarsi ricordi, rievocare avventure, sfogare frustrazioni e a confidarsi segreti inquietanti.

Ma non basta un cast che non a torto è stato definito “stellare” per dare spessore a Latin Lover. Non basta il fascino senza tempo di Virna Lisi e Marisa Paredes. E nemmeno l’ottima prova offerta da una nevrotica Angela Finocchiaro, da una complessata e sperduta Valeria Bruni Tedeschi e dal valido cast maschile, messo in ombra dall’ingombrante presenza in absentia del latin lover (E’ sempre un piacere veder recitare Toni Bertorelli e ritrovare in Italia il grande attore catalano Lluis Homar con la sua notevole presenza scenica).
Perché il film non sembra decollare mai. L’omaggio al grande cinema italiano del tempo che fu si risolve in una involontaria parodia delle sue scene più memorabili, interpretate da uno Zelig che di volta in volta si cala nei panni dei più grandi divi del glorioso passato. Il finale, poi, è imbarazzante, del tutto incapace di riscattare una commedia piatta, priva di quella leggerezza straordinaria che i padri possedevano e le figlie non sanno ritrovare.

Voto 5

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