Macbeth

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Pronto a sfidare i puristi con coraggio e temerarietà, il Macbeth che ha chiuso l’ultima edizione del Festival di Cannes dell’australiano Justin Kurzel (che nel 2011 aveva esordito con il notevole Snowtown, storia del serial killer John Bunting colpevole di aver ucciso 11 persone in circostanze atroci negli anni Novanta in Australia) è un tentativo fermo e risoluto di portare sul grande schermo una visione personalissima di una delle opere più tragiche di Shakespeare, pur rimanendo fedele al testo del bardo. Un rischio enorme, soprattutto se sommato alle difficoltà di approcciare un’opera già adattata per il cinema da autori del calibro di Orson Welles, Akira Kurosawa e Roman Polanski.



Ma Kurzel affronta la questione nel modo più intelligente e, ambientando il film in Scozia, proprio come aveva fatto Shakespeare con la sua tragedia, attraverso una mise-en-scène fisica e carnale, riesce a imporre la propria visione del dramma, allontanandosi completamente dagli adattamenti precedenti. Il regista australiano lascia che a parlare sia la potenza delle immagini colme di sangue, lacrime e pioggia, si affida al ralenti nelle scene di battaglia (confidando, giustamente, nella visione di Adam Arkapaw, già direttore della fotografia della prima stagione di True Detective) e ricerca l’espressionismo più estremo sia nelle umide brughiere scozzesi, sia negli interni cupi e maestosi del palazzo reale.

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Ed è alla luce della continua ricerca di quell’epicità di cui l’opera originale è intrisa che si impongono le performance dei due protagonisti, Michael Fassbender nei panni di Macbeth, abile nell’incarnare il cambiamento che lo porta a rovesciare la propria coscienza e che lo trasforma da valoroso generale senza macchia a uomo accecato dal potere e dall’ambizione e la sua elegantissima quanto infida Lady Macbeth, Marion Cotillard. A legarli, un amore profondo che, invece di portarli verso la luce, li trascina nel buio di una follia lucida e assennata, costruita su presagi e pratiche divinatorie.

In costante bilico tra predestinazione e libero arbitrio (è Macbeth stesso l’artefice della propria ascesa al trono o sono le profezie delle streghe a rispecchiare i suoi desideri più profondi?) la pellicola di Kurzel, che nella parte centrale soffre di qualche lungaggine di troppo, è nella sua interezza che non risulta perfettamente bilanciata. Le numerose scene memorabili rimangono spesso isolate, senza un collante che sappia amalgamarle e i raccordi, in alcuni cambi di scena, risultano troppo repentini. Ed è un peccato perché, per tutto il resto, il Macbeth di Kurzel funziona e rapisce.

Voto 6,5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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