Alien: Covenant

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Alien: Covenant, secondo capitolo della trilogia prequel di Alien, inizia una decina di anni dopo la fine di Prometheus, su una nave che trasporta migliaia di coloni dormienti alla volta di un pianeta dalle caratteristiche abitative simili a quelle della Terra (Origae-6) dove si spera di costruire un nuovo avamposto per l’umanità. L’unico sveglio a bordo è l’androide Walter (Michael Fassbender) che, in seguito a una tempesta stellare, è costretto a risvegliare anzitempo gli altri membri dell’equipaggio.
Quando riceve segnali di presenza umana da un pianeta sconosciuto alle mappe e molto più vicino rispetto a Origae-6, la squadra decide di compiere una deviazione sulla rotta di marcia per andare ad esplorarlo.
Quello che, a prima vista, sembra un paradiso inesplorato, si rivelerà essere in realtà un inferno in piena regola.
Nel pieno rispetto dei tempi saggiamente dettati dal marketing, pare che Ridley Scott stia finalmente per riportarci a bordo della Nostromo.
Il problema, semmai, è che rischia di farlo nel peggiore dei modi.
Dopo un inizio folgorante che, sebbene slegato dalla storia che sta per raccontare, ne traccia le coordinate, per così dire, filosofiche, Alien: Covenant si instrada sui consueti binari narrativi a cui la saga ci ha ormai abituato, fatti di presentazione dei personaggi, accumulo sistematico di elementi perturbanti e, infine, deflagrazione della minaccia aliena con conseguente decimazione dell’equipaggio di turno.



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È chiaro però fin da subito che qualcosa non va per il verso giusto, e non solo per la spedizione interstellare della Covenant.
Sarà la perdita dell’elemento amarcord, esauritosi in parte già con l’ingiustamente vituperato Prometheus, o uno script che inanella uno dopo l’altro tutti gli errori che un equipaggio non dovrebbe mai commettere in presenza di uno xenomorfo incredibilmente vorace, ma il tanto atteso ponte narrativo tra le due saghe proprio non gira a dovere.
Molta della responsabilità è in ogni caso ascrivibile allo stesso demiurgo Scott il quale spreca buona parte del credito accumulato presso il pubblico grazie all’ottimo Sopravvissuto – The Martian con un’opera diretta sì in maniera esemplare (e ci mancherebbe altro) ma che ha il suo maggior difetto nell’aggiungere poca carne al fuoco e, più in generale, nei reiterati tentativi di mascherare il proprio status di survival horror dietro eccessive – e soprattutto non richieste – suggestioni di natura più alta, che siano il Wagner de L’entrata degli dei nel Valhalla omaggiato a più riprese o i quadri del simbolista svizzero Arnold Böcklin.
L’autore sembra in pratica più interessato al confronto/scontro tra l’androide Fassbender e il suo doppelgänger mosso da istanze vagamente nazi che non alla produzione di un meccanismo che faccia davvero paura.
Solo che in un film della saga di Alien tutto ciò non è accettabile, così come si fatica a tollerare il ridicolo involontario di certi dialoghi e situazioni. Basti pensare alla scena in cui, subito dopo aver visto alcuni dei propri compagni dilaniati dal macrocefalo alieno, due dei protagonisti non trovano nulla di strano nell’improvvisare un amplesso sotto la doccia.

Più di una volta, durante la visione, tornano alla mente le immagini del recente Life – Non oltrepassare il limite, vero atto d’amore di Daniel Espinosa non solo al franchise di Scott ma a tutto l’horror sci-fi più fiero della propria appartenenza a una fantomatica Serie B.
Alien: Covenant, al contrario, annega i suoi pochi punti di forza (leggi le rare ed eccezionali apparizioni del mostro) in un mare magnum di spiegoni sull’etica e sull’eterno conflitto tra quali siano i confini da non valicare nella scienza.
Manca in sintesi la cupezza di fondo e, complice la volontà di riportare a casa un primo prequel che si era allontanato forse troppo dalla nave madre, anche un po’ di coerenza interna.
A dirla tutta manca anche – e non ce ne voglia la pur volenterosa Katherine Waterston – una protagonista dotata di un carisma anche solo minimamente memore di quello della Ripley di Sigourney Weaver.
Ma il fan di Alien – che è in genere assai meno ortodosso di uno qualsiasi di quei nerd pronti a imbracciare le armi laddove un cinecomic non rispetti in pieno le proprie aspettative – prende e porta a casa, confortato se non altro dal fatto che, per quanto Ridley Scott possa impegnarsi ad allungare il brodo, la fine è nota.
Ed è il capolavoro con cui, nel 1979, l’autore ha riscritto molte delle regole dell’horror moderno.

Voto 5

 

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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