Hitchcock/Truffaut

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Il mio passato di critico era molto recente e non mi ero ancora liberato della voglia di convincere, che era il denominatore comune di tutti i giovani dei Cahiers du Cinema [..]. Guardando i suoi film era evidente che quest’uomo aveva riflettuto sugli strumenti della propria arte più di tutti i suoi colleghi; se avesse accettato, per la prima volta, di rispondere ad un insieme sistematico di domande, si sarebbe potuto scrivere un libro in grado di modificare l’opinione dei critici americani” (François Truffaut).

Il desiderio di un giovane ma già affermato François Truffaut (che a soli 30 anni aveva al suo attivo film quali I quattrocento colpi e Jules e Jim) è diventato la Bibbia che occupa un posto d’onore nella libreria di ogni cinefilo che si rispetti. Un libro-intervista nato per convincere il mondo intero che Alfred Hitchcock non era solo una macchina da soldi in mano agli studi hollywoodiani, bensì un autore con un’assoluta padronanza del linguaggio e della tecnica cinematografica.

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L’intervista durò otto giorni, durante i quali Truffaut volò a Hollywood mentre Hitch e la sua equipe erano al lavoro sul montaggio de Gli uccelli, nell’agosto del ’62, e tratta analiticamente e con scrupolo quasi maniacale ciascun film del regista inglese, mettendone in luce le innovazioni tecniche, i particolari più nascosti, le invenzioni di sceneggiatura e anche i difetti. Più che un’intervista Il cinema secondo Hitchcock, pubblicato nel 1966, è un lungo dialogo, una conversazione amichevole fatto anche di domande provocatorie tra due addetti ai lavori e grandi appassionati di cinema, con non poche incursioni in dettagli tecnici sulla regia e sulla realizzazione di quella o quell’altra scena.

Il rischio di trarre un documentario da una testimonianza così completa, indispensabile e già perfetta senza l’aggiunta di inutili appendici era in agguato, ma il critico e documentarista Kent Jones (già autore insieme a Martin Scorsese di A Letter to Elia e cosceneggiatore di Il mio viaggio in Italia, sempre con Scorsese), insieme all’ex direttore dei Cahiers e della Cinemateque Serge Toubiana che con lui ha sceneggiato il film, riescono nell’impresa. Inframezzando le scene dei film di Hitchcock e le immagini di repertorio con le preziose testimonianze di registi contemporanei che hanno subìto in modo particolare le influenze del libro – David Fincher, Martin Scorsese, Wes Anderson, Oliver Assayas, Richard Linklater, Peter Bogdanovich e Paul Schrader – è attraverso il modo in cui questi autori parlano con rispetto e timore reverenziale di Hitch che è possibile percepire quanto il suo modo di fare cinema sia stato essenziale e determinante.

Così tra un “All actors are cattle” (“Gli attori sono bestiame“) e una chiacchierata sui feticci e sulle ossessioni che Hitch inseriva in ogni suo film (dalla paura per i poliziotti a quella del vuoto, dalla mania del voyerismo e della cleptomania a quella dei traumi infantili sopiti che improvvisamente si riaffacciano nell’adulto), gli ottantotto minuti di Hitchcock/Truffaut corrono veloci sia per chi il libro (che Truffaut aveva ribattezzato “Hitchbook”), lo ha già letto, sia per chi deciderà di farlo dopo essere uscito dalla sala.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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