Veloce come il vento

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Presentato un po’ superficialmente come il Rush italiano, Veloce come il vento rappresenta il ritorno alla regia del giovane Matteo Rovere, a quattro anni da Gli sfiorati e dopo i successi ottenuti come produttore con Smetto quando voglio e The Pills.
Se l’unico trait d’union formale con il bellissimo film di Ron Howard resta infatti il semplice fatto che entrambi siano ambientati nel mondo delle corse automobilistiche, c’è da dire che anche qui si tenta un ardito mix tra intimismo e  genere che, pur non riuscendo appieno, qualche sorpresa pure la riserva.
La prima riguarda proprio il suo protagonista, uno Stefano Accorsi alle prese con il ruolo forse più complesso della sua carriera: l’eroinomane Loris, ex leggenda del rally che vede la possibilità di un riscatto tardivo nel talento al volante della sorella adolescente Giulia (Matilda De Angelis). La morte del padre dei due lascia infatti quest’ultima completamente sola, con il peso opprimente di un fratellino da crescere e una serie di debiti che solo un primo posto nel campionato italiano di Gran Turismo potrebbe, in qualche modo, saldare.



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Del resto che Matteo Rovere ci sapesse fare con la macchina da presa si era capito sin dal primo, sebbene ancora acerbo, Un gioco da ragazze.
Si intravedevano infatti in nuce una fluidità tecnica e una predisposizione naturale alla costruzione delle inquadrature che sono merce piuttosto rara nel panorama cinematografico italiano. E Veloce come il vento è senz’altro figlio di quello stesso talento, corroborato oggi da una discreta dose di ambizione mista a incoscienza. Un’ambizione che paga per quanto riguarda l’aspetto visivo, con scene ad altissima velocità e che, pur dovendo fare i conti con gli ovvi limiti di budget, coinvolgono lo spettatore e gli restituiscono l’adrenalinica sensazione della velocità, oltre all’infinita precarietà di chi, trovandosi all’interno dell’abitacolo di un’auto da corsa, lega la propria vita a doppio nodo anche al più piccolo dei possibili errori di traiettoria.
L’ambizione di Rovere, invece, riesce meno laddove si scontra con un altro tipo di limite, meno squisitamente pratico, e cioè in una sceneggiatura (scritta dal regista insieme a Filippo Gravino e Francesca Manieri) che pecca nel suo voler dire troppo finendo con l’esagerare nell’accumulo di elementi drammatici. Per dire che infilare, nello stesso script, romanzo di formazione, elaborazione del lutto, dramma familiare, tossicodipendenza e anche un accenno alle pari opportunità forse è oggettivamente troppo.

Il risultato è qualcosa di molto simile a una corsa tra eventi tutti mediamente tragici ma completamete priva di pit stop magari utili a tirare un po’ il fiato. Lo stesso errore commesso da Claudio Cupellini con il suo recente Alaska, anche se Veloce come il vento è aiutato, almeno in parte, dalle scene in pista di cui sopra che se non altro riescono a spezzare, a tratti, la monolitica e cupa aura di disperazione che grava su tutta la storia.
Di fatto il tema “motori”, sebbene centrale nella caratterizzazione dei personaggi, diviene ben presto periferico rispetto ai drammi che questi si trovano costretti ad affrontare. Quasi come se Rovere, a un certo punto, abbia avuto timore di abbandonare del tutto il côté autoriale per dedicarsi piuttosto all’intrattenimento puro.
Al netto però di qualche errore di scrittura che rende alcuni passaggi meno verosimili di altri (è francamente improbabile che una pericolosissima corsa clandestina possa avere luogo per le strade di Matera) il film è ben diretto e (molto) ben interpretato, non solo da Accorsi – unghie nere, denti marci e una quindicina di chili in meno per sembrare un tossico più credibile – ma anche dalla giovane e quasi esordiente Matilda De Angelis. E’ un chiaro invito a non abbattersi mai, anche quando le circostanze sembrano più avverse.
E a tagliare le curve, toccando anche un po’ il cordolo, pur di guadagnare in velocità sugli altri.

Voto 6,5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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