La vita possibile

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Immagino che molti, parlando de La vita possibile e del difficile tema trattato, tireranno in ballo il cosiddetto “cinema necessario”. Ora, volendo proprio associare l’aggettivo “necessario” alla settima arte, più che su un singolo film – che a parere di chi scrive rimane una questione di bello o brutto o, tutt’al più, di giusto o sbagliato – magari sarebbe il caso di concentrarsi un po’ di più sui registi. E, in una ideale lista di registi necessari, credo che Ivano De Matteo un posticino lo meriti senz’altro.



Perché, indipendentemente dalla loro riuscita, i suoi film possiedono una coerenza interna invidiabile. La sua filmografia è inquadrabile infatti come un corpus unico in cui vengono scandagliate le crepe di una borghesia di fronte alle quali molto cinema italiano – soprattutto quello più dichiaratamente di sinistra – sembra sentire il bisogno di voltarsi da un’altra parte, verso problematiche di area magari più macro (quasi sempre la disoccupazione in realtà) che però accontentino un po’ tutti. De Matteo invece no, lui è uno che ti racconta come un padre di famiglia possa trovarsi a dormire in macchina in seguito a un divorzio difficile o di una coppia di radical-chic che salva una ragazza dell’Est dalla strada per poi metterla a fare le pulizie nella casa al mare.

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E lo fa nel modo più semplice in cui si possa raccontare una storia, senza arzigogoli o ricercare a tutti i costi l’artificio che la renda in qualche modo universale. Ne La vita possibile, ad esempio, si parla di Anna (Margherita Buy), una donna in fuga da un marito violento insieme al figlio Valerio (Andrea Pittorino) e di come i due cerchino di rifarsi una vita altrove, grazie all’ospitalità dell’amica di vecchia data Carla (Valeria Golino)

L’autore de Gli equilibristi ha la felice intuizione di non indulgere nella violenza dalla quale la protagonista si trova a scappare (presente solo nella durissima sequenza che apre il film) ma di focalizzarsi invece su tutto ciò che avviene dopo che una donna sia riuscita ad allontanarsi da un presente fatto di maltrattamenti. Questo marito così brutale quasi non lo si vede neanche, sostituito dal senso di vuoto e dalla mancanza di punti di riferimento che iniziare una nuova vita inevitabilmente comporta. È una presa di posizione radicale quella di De Matteo (e di Valentina Ferlan, compagna del regista e sceneggiatrice di ogni suo film) che decide, in questo modo, di costruire tutto il suo film sul processo di ricostruzione, laddove le sue precedenti opere mostravano invece la caduta verticale verso il basso da una posizione di relativo benessere. Peccato che a questo impianto teorico e soprattutto morale non corrisponda poi un’eguale attenzione verso la tenuta del risultato finale.

Perché La vita possibile si perde quasi subito nelle pastoie tipiche di chi vuole dire molto ma è indeciso sulla direzione da intraprendere. Da un lato abbiamo quindi il piccolo Valerio (un intenso e notevole Andrea Pittorino) alle prese con un suo personale coming of age fatto di giri in bici in solitaria e di un amore platonico per una ragazza che si guadagna da vivere battendo la strada e dall’altro c’è invece il melodramma di Anna che trova lavoro come donna delle pulizie e vive sulle sue spalle tutto il peso di una scelta obbligata il cui prezzo è costretta a dividere con il figlio.

In mezzo più o meno tutti i problemi che da anni attanagliano il cinema italiano di taglio più intimista e appesantiscono non poco quella che sulla carta vorrebbe essere una storia di rinascita, quindi la lentezza pachidermica di una sceneggiatura che, una volta scelto un tema, non si premura di renderlo cinematograficamente appetibile e la sensazione costante che, a questi personaggi, nulla di bello (ma neanche di appena carino) possa accadere. D’altronde per De Matteo il mondo è un brutto posto e con nessuna delle sue opere precedenti ne ha mai fatto mistero, solo magari avrebbe potuto spingere di più sul pedale dell’ottimismo, se non altro trattandosi del suo primo film che mostri una qualche speranza in una vita migliore e, per l’appunto, possibile. Restano però l’interpretazione azzeccatissima di Valeria Golino – tanto che la si vorrebbe ancora più presente in scena – e il rigore etico di cui si parlava a inizio articolo. Resta il fatto che, nonostante questo sia il meno riuscito dei suoi film, sia bello sapere che Ivano De Matteo è vivo e lotta insieme a noi.

Voto 5,5

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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