Piccoli crimini coniugali: l’incontro con Alex Infascelli, Margherita Buy e Sergio Castellitto

Di Fabio Giusti
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Alex Infascelli è un fiume in piena di parole. È evidente l’urgenza che ha di raccontare questo suo Piccoli crimini coniugali, kammerspiel sulla fine di un amore (o su un nuovo inizio) tratto dall’omonimo romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt. Ed è giustificato se pensiamo che, sperimentazioni (H2Odio) e documentari (S is for Stanley) a parte, il suo ultimo lungometraggio risale ormai al lontano 2004, anno d’uscita del sottovalutato Il siero della vanità. Oggi come allora sua compagna di viaggio è Margherita Buy, protagonista di questo gioco al massacro da camera dalle venature polanskiane insieme a Sergio Castellitto.

Il film arriva in sala il 6 aprile, distribuito da Koch Media, e questo è il resoconto del nostro incontro con il regista e i “suoi” due attori.



Alex, cosa ti ha colpito del romanzo di Schmitt tanto da spingerti a realizzarne un film.

Alex Infascelli: Vedo che vai dritto al punto. In realtà credo che chiunque faccia il mio mestiere sa di avere la possibilità di scegliere un argomento e metterlo in scena in un setting osservando quello che succede quasi come si fa con gli animali. Così, attraverso i personaggi che muovi, crei uno specchio in cui si riflette anche la tua realtà. In questo caso l’occasione era resa ancora più ghiotta perché sono pochi i testi che raccontano in maniera così particolare la coppia, soprattutto se consideri come il cinema attuale tenda o verso il realismo oppure, all’opposto, verso forme di fantasia troppo lontane dalla realtà. Il punto di partenza è come in ogni relazione amorosa si metta in moto una rappresentazione teatrale vera e propria: si indossano dei costumi e si scelgono dei personaggi che abiteranno con noi per tutta la durata di un rapporto. Leggendo il libro di Eric-Emmanuel Schmitt ho capito che aveva molto a che fare con il mio modo di vedere la coppia, soprattutto nel particolare periodo in cui l’ho letto.

Margherita e Sergio, quali sono le caratteristiche che vi hanno intrigati maggiormente nei vostri ruoli?

Margherita Buy: Per lo più mi ha colpito la complessità del mio personaggio, soprattutto nel suo essere legato ad un contesto noir, in cui ci sono segreti da scoprire. Una donna che aveva delle velleità artistiche a cui ha dovuto rinunciare per stare accanto a un uomo più importante di lei. Una donna che ama a tal punto questo marito da arrivare a compiere gesti folli per timore di essere abbandonata. Oltre al fatto che mi sembra ci siano tante donne rappresentate in questa figura così affascinante. Sono stata molto contenta di interpretarla, così come sono contenta che Alex e Francesca Marciano (coautrice della sceneggiatura) abbiano accentuato certi lati della personalità del mio personaggio rispetto al romanzo in cui era un po’ più marginale.

Sergio Castellitto: Io definirei questo film come “l’amore ai tempi del rancore” o “l’amore ai tempi del rimpianto”. Del non rassegnarsi all’idea che l’amore possa finire. Un Carnage dove due reduci del loro stesso amore tornano da una guerra e si ritrovano in questa casa che, esteticamente, ha la forma di mausoleo, quasi fosse la tomba del loro amore. Ecco quindi che i vetri sono tutti completamente oscurati e non si vede l’esterno, perché forse l’esterno non c’è. Forse è la loro casa o forse, chissà, è un ospedale psichiatrico o addirittura la casa del Grande Fratello. E secondo me noi siamo stati gli attori giusti e Alex il giusto narratore, perché siamo riusciti a non rinunciare a quel gelo e, allo stesso tempo, a non negare a quel gelo un’ipotesi di disgelo fatto di umanità.

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Vi siete dati degli spazi per l’improvvisazione?

Sergio Castellitto: L’improvvisazione è una delle partiture del testo e non passa necessariamente dalle parole, ma anche attraverso il comportamento. Quando un attore, recitando, va a destra invece che a sinistra sta già suggerendo – o addirittura imponendo – al regista un certo movimento di macchina.

Alex Infascelli: Si può dire che, per me, Sergio e Margherita siano stati come una sorta di Università compressa nei quattordici giorni di riprese. Di Margherita, ad esempio, noi conosciamo l’aspetto psicotico, il suo essere una foglia al vento in balia degli eventi mentre invece è una roccia. Allo stesso modo Sergio, che sembra l’archetipo del maschio alfa, ha una tenerezza che tende a nascondere. Ed entrambi, da grandi professionisti quali sono, mi hanno aiutato molto a dirigere questo film. Non imponendomi delle scelte di regia, ma insegnandomi cosa vuol dire dirigere degli attori.

Nel film c’è un’idea molto forte di regia, quasi come se si volesse rendere consapevole lo spettatore che, indipendentemente da tutto, sta assistendo ad una rappresentazione che non corrisponde alla realtà. È corretto?

Alex Infascelli: Rendere consapevole magari no, ma senz’altro mettere il dubbio. Una delle prime cose di cui ci siamo resi conto leggendo il testo con Sergio e Margherita è che, più cercavamo di dare un senso alle loro parole, e più lo perdevamo. Il gioco di scatole cinesi e scorciatoie drammaturgiche che ha creato Schmitt in questo testo si poteva riprodurre sullo schermo solo a patto di mantenerne l’ambiguità di fondo e l’assenza di colore presente in ogni battuta. Perché in quell’assenza di colore erano presenti, paradossalmente, tutti i colori e tutte le possibili interpretazioni.

Sergio Castellitto: Io vorrei sottolineare anche il coraggio dei produttori a realizzare un film di questo tipo in un cinema che si avvia sempre di più ad essere un gesto quasi archeologico. In un cinema italiano disseminato di film comici – bada bene, non commedie che sono una cosa ben più complessa – il più delle volte deprimenti, Piccoli crimini coniugali mostra invece la drammaticità di una relazione umana. Ed è un film che, più che visto, andrebbe spiato, quasi come se lo spettatore si nascondesse in quella casa. Come quando sei a casa tua, sul divano, a leggere e senti che dall’altra parte del muro arrivano delle voci e inizi ad ascoltare. Non è un caso che questo film così pieno di parole potrebbe tranquillamente essere ascoltato ad occhi chiusi piuttosto che visto. E io invito gli spettatori ad andare a vedere questo film per rintracciarvi, in qualche misura, qualcosa che riguarda la loro vita. Altrimenti cosa si va a fare al cinema?

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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