Captain Fantastic

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Si può essere così tanto controcorrente da fare apparire la normalità non solo come qualcosa di ‘alternativo’, ma addirittura desiderabile? Questa è la domanda che Captain Fantastic sembra porsi e alla quale ha l’arguzia di non voler trovare per forza una risposta univoca.
L’archetipo hippie del ritorno alla natura viene qui estremizzato nel personaggio di Ben (Viggo Mortensen), un padre che, isolatosi insieme alla famiglia nel cuore delle foreste del Nord America, dedica la propria vita a trasformare i suoi sei figli in adulti straordinari.
Per lui è quindi assolutamente normale parlare ad un bambino di sette anni come se fosse un adulto o regalargli un coltello con cui procacciarsi il cibo.
Ma una tragedia si abbatte sulla sua famiglia costringendolo a lasciare quell’isolamento faticosamente costruito per iniziare, insieme con i suoi ragazzi, un viaggio nel mondo esterno che metterà in dubbio tutto ciò che ha insegnato loro e, soprattutto, la sua idea di cosa significhi essere un buon padre.



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Il film, oltre al mancato rischio di evangelizzazione, ha senz’altro il pregio di trattare argomenti tutt’altro che leggeri con mano delicata, essendo strutturato come un road-movie a tratti anche giocoso (vedi la scena in cui Mortensen insegna ai sei figli ad inscenare un malore per distrarre il personale di un supermercato e rubare indisturbati) e, soprattutto, come un coming of age transgenerazionale.
Del resto si parla di morte e di famiglie disfunzionali, anche se inserite in un contesto sociale (e geografico) al quale in genere siamo più propensi ad associare i valori positivi della libertà e della mancanza di vincoli dalle sovrastrutture della società moderna.
Matt Ross – attore alla sua seconda prova dietro la macchina da presa – instilla invece il dubbio che il disagio possa annidarsi anche laddove si è consumato il rifiuto di certe regole.
Ed è ottima la prova di Viggo Mortensen che declina il suo usuale standard di testosterone in maniera più sfaccettata e malinconica e, via via che il film si avvia verso il finale, anche fragile. Un po’ come riprendere l’epica superomistica di Werner Herzog (a cui pure il suo rude personaggio inizialmente sembra rifarsi) e invertirla di senso.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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