Emir Kusturica e Monica Bellucci a Roma per On The Milky Road

Di Fabio Giusti
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Dopo la presentazione In Concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, il prossimo 11 maggio arriva finalmente in sala On The Milky Road, sorta di doppio ritorno per Emir Kusturica.

Oltre a segnare infatti l’atteso comeback del regista serbo dietro la macchina da presa a quasi dieci anni dall’ultimo Promettilo!, ne rappresenta anche un ritorno a quella guerra che per anni ha insanguinato il suo Paese. Ma – e non ce ne voglia l’autore di Underground e Gatto nero, gatto bianco – quando la protagonista femminile del film fa il suo ingresso nella stanza, il baricentro dell’attenzione tende a spostarsi inevitabilmente su di lei.



Monica Bellucci 3

Monica Bellucci, che è bella proprio come uno si aspetta che possa essere bella, ha la placida grazia di chi sa di avere ormai poco da dimostrare. Gli anni che passano potranno anche essere un dramma per la maggior parte di noi ma, per la diva, sembrano un concetto astratto e il tempo, piuttosto che sottrarle fascino, sembra regalargliene.

 

LA RECENSIONE DI ON THE MILKY ROAD

Le prime domande sono per l’autore ma, quando l’attrice fa il suo ingresso nella stanza – leggermente in ritardo come da prassi – non ce n’è più per nessuno.

Emir Kusturica, come nasce questa sua favola d’amore ai tempi della guerra?

On The Milky Road è l’intreccio di tre storie di cui sono venuto a conoscenza in momenti diversi. La prima è la storia di un uomo che, durante la guerra tra Afghanistan e Unione Sovietica, riforniva di latte una caserma facendo ogni giorno avanti e indietro dal suo villaggio e, in questo percorso, si fermava a dare da bere del latte ad un serpente che poi, una volta cresciuto, lo salvò mentre tutti i soldati della caserma venivano uccisi. La seconda storia invece riguarda la guerra combattuta in Croazia negli anni novanta e parla di una donna bellissima che aveva studiato in Italia e, una volta morto il padre, aveva fatto ritorno in Patria proprio all’inizio della guerra. Diventata una spia, aveva fatto innamorare un generale inglese talmente tanto da spingerlo a uccidere la propria moglie ed era stata costretta a fuggire, vivendo per molto tempo in un campo profughi. Ho messo insieme queste due storie aggiungendovene una terza – la più drammatica – in cui un uomo riesce a salvarsi la vita facendo attraversare un campo minato da un migliaio di pecore. Quindi capisci che, come ogni favola, anche questa poggia su una base di solida realtà.

Da Omero a Esopo, il film tradisce un forte interesse per la mitologia greca. Da cosa nasce?

Diciamo che artisticamente ho sempre cercato di creare un punto d’incontro tra la complessità della realtà che osservo e certi archetipi narrativi che, ovviamente, fanno riferimento anche alla mitologia. Il mio cinema è quindi un mix tra la mitologia e certe mie idee particolarmente folli. Ad esempio ho sempre pensato che l’Arca di Noè non riguardasse per forza il Vecchio Testamento, ma potesse anche trasportare persone e animali nella New York odierna.

On The Milky Road in Italia esce in appena 30 sale. Le sembrano poche o è comunque soddisfatto.

Più che soddisfatto. Anzi, colgo l’occasione per ringraziare il distributore (l’indipendente Europictures) che si è preso il rischio di lanciare il mio film in un periodo in cui il cinema sembra non avere più nulla a che vedere con quello che ho sempre creduto dovesse essere. On The Milky Road è infatti un film che non può essere visto sullo schermo di uno smartphone e che, per poter essere fruito appieno, ha bisogno dell’emozione che si genera solo quando si è di fronte al grande schermo. Ed è per questo che sono particolarmente grato a questo distributore che, con coraggio e passione per il cinema, ha scelto di fare uscire questo film, anche se in poche sale. Del resto, quando il produttore del mio prossimo film – che è cinese – mi ha detto che verrà distribuito in 4.000 sale gli ho risposto “ma sono troppe!”

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Monica, cosa ti ha colpito di più in questo ruolo, per interpretare il quale hai dovuto affrontare anche una serie di prove fisiche non indifferenti.

È vero,  ho dovuto mettermi alla prova anche fisicamente. pur non essendo una persona molto fisica, ma l’incontro con Emir mi ha letteralmente cambiato la vita. Grazie a lui ho trovato il coraggio di fare cose che non avrei mai pensato di poter fare, perché essendo sia regista che scrittore, attore e musicista, è un artista capace di farti entrare in un’altra dimensione trasmettendoti tutto il suo entusiasmo. Un entusiasmo che, nei quattro anni di riprese, non è mai scemato. Ovviamente, per lavorare con lui, un attore deve mostrare grande capacità di adattamento. Per dire, quando mi ha detto che avrei dovuto recitare in serbo, sulle prime, mi sono chiesta se ce l’avrei mai fatta. Un altro dei motivi per cui tengo molto a questo film riguarda il fatto che racconti una storia d’amore tra due persone adulte. Se ci pensi l’amore adulto è molto poco rappresentato al cinema; come se, a un certo punto della vita, l’amore e la sessualità smettessero di essere centrali nella vita delle persone. Io trovo questa tendenza molto triste – oltre che ingiusta – perché l’amore e la sessualità sono concetti legati più all’energia che non al tempo che passa. Ed è bello vedere queste due persone che credono di non poter chiedere più niente alla vita e invece, nell’esatto momento in cui si incontrano, hanno questo slancio vitale.

A breve sarai per la seconda volta a Cannes in qualità di madrina del Festival.

A Cannes ho detto sì per la seconda volta principalmente perché è un Festival senza il quale il mio percorso cinematografico non sarebbe stato lo stesso. Oltre ad essere uno dei più importanti Festival del mondo, amo che Cannes permetta a tutte le voci di potersi esprimere, spaziando dal mainstream a film più indipendenti. Per quanto mi riguarda, sono stata a Cannes con due film diversi tra loro ma ugualmente intimisti come Irreversible e Le meraviglie che devono, in parte, il loro successo proprio al passaggio a Cannes.

A un certo punto del film il tuo personaggio dice “la bellezza è la mia condanna: fa uscire il peggio delle persone”. E’ qualcosa che ti è capitato di pensare anche nella vita reale?

Io ho sempre visto la bellezza come un regalo della vita, come la salute. Però un po’ credo che sia vero: la bellezza, come ogni cosa che provoca curiosità, attira sempre a sé qualcuno che abbia voglia di distruggerla. Fu proprio Garpar Noè che, ai tempi di Irreversible, mi disse di voler mostrare come la bellezza spesso venga distrutta. Ed è bello che a raccontare questo tipo di violenza degli uomini siano proprio dei registi uomini. Poco tempo fa leggevo che, ogni tre giorni, c’è una donna che muore per mano di un uomo, che sia un marito o un ex compagno e amo che ci siano registi che hanno voglia di mettere in risalto questo aspetto della vita delle donne, anche in modo poetico come fa Emir quando parla dell’amore su uno sfondo di guerra e violenza. E’ un mix di poesia e violenza, due elementi contraddittori ma anche complementari.

Gli ultimi film a cui hai partecipato sono tutti stranieri. E l’Italia?

Io ho con l’Italia un rapporto d’amore che immagino tutti conoscano, avendoci fatto nascere anche le mie due figlie. Per me Roma è casa, così come l’Umbria che è la mia regione d’origine. Quando all’estero mi chiedono dello stato del cinema italiano in genere rispondo che il problema è più di natura politica e produttiva che non reale di mancanza di talenti. Se pensi ad autori come Sorrentino, Garrone, Alice Rohrwacher e Maria Sole Tognazzi capisci che il problema non riguarda il talento, ma il fatto che si facciano pochi “primi film”. In questo modo scovare il talento di nuovi attrici o nuovi registi risulta molto più difficile. Ed è un problema che non colpisce solo il cinema ma tutto il mondo dell’arte, che sia danza o teatro. Sostanzialmente c’è bisogno di più soldi per la cultura in genere.

Una parola sull’elezione di Macron in Francia?

Beh, considera che io non voto in Francia. La Francia è una delle mie basi ma per loro resto straniera. Poi un giorno uno psicologo mi spiegherà i motivi per cui tuttora sono straniera all’estero e troppo poco italiana in patria. Detto ciò mi preme sottolineare l’enorme coraggio dei francesi come popolo. Malgrado i numerosi attacchi terroristici degli ultimi anni hanno la forza di continuare a vivere la normalità, che vuol dire frequentare i cinema, i teatri e i ristoranti. Quasi come a dire “non abbiamo paura e non vogliamo essere nutriti dall’odio”. Allo stesso tempo credo che avessero bisogno di un grande cambiamento, rappresentato in questo caso proprio da Macron.

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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