Steven Spielberg, Meryl Streep e Tom Hanks presentano The Post

Di Carolina Tocci
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In tempi di fake news un film come The Post è una manna dal cielo. Perché oltre ad essere una pellicola di fattura impeccabile, ha il merito di riaccendere un faro sull’importanza del grande giornalismo investigativo, l’espressione più alta e nobile dell’attività d’informazione che vede ancora oggi in Tutti gli uomini del presidente, la pellicola diretta da Alan J. Pakula nel 1976, una fonte d’ispirazione imprescindibile a cui riferirsi. E Steven Spielberg utilizza proprio il film con Dustin Hoffman e Robert Redford come modello, omaggiandolo nella forma e nella sostanza e riallacciandosi ai fatti lì raccontati anche da un punto di vista narrativo (quando vedrete il film, capirete).

The Post racconta l’avvincente storia dietro alla pubblicazione dei Pentagon Papers, avvenuta nel 1971 sul Washington Post. L’occultamento dei documenti classificati Top secret sulle strategie e i rapporti del governo degli Stati Uniti con il Vietnam tra gli anni Quaranta e Sessanta, innescò una battaglia senza precedenti in nome della trasparenza e della libertà di stampa. In particolare, la pubblicazione dei documenti divenne manifesto della ferma e decisa rivendicazione del diritto di cronaca da parte dell’editrice del giornale Kay Graham (Meryl Streep) e del più ambizioso e testardo tra i suoi caporedattori, Ben Bradlee (Tom Hanks). La vicenda precedette di poco quella raccontata in Tutti gli uomini del presidente, il ben più noto Scandalo Watergate, che portò alla richiesta di impeachment nei confronti dell’allora Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e alle sue successive dimissioni.
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L’informazione libera, la tutela delle fonti e il diritto alla conoscenza e alla verità da parte dei lettori, sembra tuonare Spielberg attraverso il suo film, non è solo retorica di un tempo passato, ma una necessità drammaticamente attuale e dovrebbe essere l’elemento portante di ogni democrazia matura (ogni riferimento all’amministrazione Trump in questo caso non è puramente casuale).



Questa mattina il regista Steven Spielberg e gli interpreti Meryl Streep e Tom Hanks erano a Milano, per presentare The Post (in sala dal 1°febbraio) alla stampa italiana. Ecco che cosa ci hanno raccontato.

Incontro con Steven Spielberg, Meryl Streep e Tom Hanks, in Italia per presentare The Post

Mr. Spielberg, il film lo ha girato ora perché crede che la libertà di stampa sia minacciata?
Steven Spielberg: Credo che la libertà di stampa sia un diritto che consente ai giornalisti di essere i veri guardiani della democrazia. Se guardiamo i fatti del ’71, quando Nixon ha cercato di bloccare la pubblicazione dei Pentagon Papers, beh, credo che quello sia stato un atto inaudito. Anche oggi, forse anche più di ieri, c’è una minaccia reale e tangibile che mina la libertà di stampa.

Che impatto ha avuto il film sulla stampa americana?
Steven Spielberg: Abbiamo avuto un enorme supporto da parte della stampa americana. Da parte di giornalisti che quasi quotidianamente devono lottare contro la disinformazione e le fake news. Ma devo dire che The Post ha incontrato consensi anche al di là del messaggio politico di cui si fa portatore, soprattutto per la figura di Kay Graham, così meravigliosamente interpretata da Meryl. Una voce autorevole arrivata in un momento storico ben preciso.

Perché Steven Spielberg e Meryl Streep non hanno mai lavorato insieme prima di The Post?
Meryl Streep: Non abbiamo mai lavorato insieme perché ai vecchi tempi alle ragazze veniva sempre chiesto di ballare.
Spielberg: Io ho sempre fatto fatica a invitare le ragazze a ballare.

Incontro con Steven Spielberg, Meryl Streep e Tom Hanks, in Italia per presentare The Post

The Post

Mrs Streep e Mr. Hanks, che cosa vi ha attratto dei vostri personaggi?
Meryl Streep: La prima versione dello script di The Post è stata scritta da Liz Hannah e fu acquistata dalla produttrice Amy Pascal sei giorni prima delle elezioni presidenziali. Pensavamo che avrebbe rappresentato uno sguardo nostalgico ai passi avanti fatti dalle donne, perché davamo per scontato che avremmo avuto una donna come prossimo Presidente. Dopo le elezioni abbiamo visto invece aumentare a dismisura l’ostilità verso la stampa e gli attacchi alle donne. Così il film è diventato una riflessione su quanta strada non abbiamo fatto. E forse è meglio che mi fermi qui.
Tom Hanks: Il grande Bed Bradley era molto competitivo, una bestia. Non voleva che sul suo giornale ci fosse una storia, ma la storia. Aveva una grande passione e nel ’71 il Washington Post era in una costante competizione col Washington Star, di fatto il primo quotidiano della città. E quando Bradley si trova sulla scrivania quei documenti che il New York Times non può più pubblicare, non crede ai suoi occhi. Non poteva non cogliere un’occasione del genere, proprio lui che sul lavoro era così combattivo.

Mrs Streep, quindi il coraggio lo si può anche imparare, come ci insegna il suo personaggio.
Meryl Streep: Il coraggio di cui parliamo è partito da Daniel Ellsberg. Che a un certo punto ha deciso di sottrarre i documenti dal Pentagono, in cui lavorava, per mandarli al New York Times. Ha svelato qualcosa di tremendo per l’opinione pubblica americana. Quattro presidenti e un quinto che ne seguiva la linea battuta dai suoi predecessori, cercando di limitare la libertà di stampa e insabbiando notizie che il popolo americano avrebbe dovuto sapere. Il mio personaggio non era neanche certa di essere al posto giusto. Non c’erano giornaliste donne, nelle redazioni a quel tempo erano tutti bianchi e tutti uomini, a parte le segretarie. La Graham in un certo senso arrivò a sfidare Nixon, pur non essendo consapevole della propria autorità, in nome di qualcosa in cui ha dimostrato di credere. Katherine ha imparato ad essere coraggiosa, lo è diventata, è vero. Noi però non lo insegniamo mai abbastanza alle nostre ragazze. Dovremmo farlo molto di più.

Steven Spielberg: Vorrei aggiungere qualcosa. Come ha detto Tom, nel 1971 il Washington Post era un giornale di second’ordine rispetto al Washington Star. Ma Bradley aveva una tale voglia di rivalsa che lo ha spinto a sfidare il New York Times, il più grande quotidiano degli Stati Uniti. Non solo, ma con il Watergate, tolse ogni freno lasciando che Woodward e Bernstein pubblicassero i loro articoli, e spinse Katharine Graham a pensare più in grande.

A proposito della campagna “Time’s Up” (iniziativa che prevede un fondo per il sostegno legale a donne e uomini molestati sessualmente sul lavoro,ndr), perché il problema delle molestie ci ha messo così tanto a uscire fuori?
Meryl Streep: Credo sia perché gli esseri umani imparano molto lentamente. Per qualche ragione è cambiata l’aria, non solo a Hollywood. Anche in tutti gli altri ambiti lavorativi. Forse ci sarà qualche passo indietro, ma sono sicura che si andrà principalmente avanti. Sono tempi molto interessanti.
Steven Spielberg: Parliamo di un tema arcaico, che ha tanti secoli di storia alle spalle. Le donne hanno dimostrato di saper spezzare lo stampo in cui gli uomini le hanno recluse. Nel corso della Seconda guerra, le donne si sono trovate a guidare le industrie, i cantieri navali ed è finito tutto in mano loro, mentre gli uomini erano al fronte a combattere. Poi, finita la guerra, sono tornati a casa e le donne non hanno avuto la possibilità di capitalizzare quello che avevano costruito in quel frangente e sono tornate nelle cucine. Per via degli esempi che la storia riporta, da parte delle donne di essere delle leader, credo che il problema a questo punto sia degli uomini. Sono loro che non hanno imparato ad accettare un no come risposta e finché accadrà, questa lotta di potere continuerà. Spero che questo film possa dare coraggio alle donne che non hanno avuto modo di trovare la loro voce, il coraggio di gridare: al diavolo, ora dico quello che voglio e faccio quello che voglio fare.

 

 

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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