Deadpool 2

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Mentre ancora non accenna a spegnersi l’eco del successo senza precedenti di Avengers: Infinity War – parliamo di 1,6 miliardi di dollari nel mondo – eccoci a parlare di Deadpool 2, secondo film dedicato all’(anti)supereroe più atipico dell’Universo Marvel. Atipico perché nel suo essere periferico all’interno del processo mitopoietico della casa madre, finisce con il risultare anche il più libero dalle aspettative spesso castranti dei fan più ortodossi. Ovvio che un progetto nato per rappresentare il lato più politicamente scorretto della saga degli X-Men, arrivato al suo secondo capitolo, non possa che giocare al rialzo in termini di eccessi, sia verbali che visivi. Ma veniamo alla storia, che vede un misterioso cyborg mutante proveniente dal futuro di nome Cable (Josh Brolin), intenzionato a neutralizzare un giovane mutante nel presente. Deadpool (Ryan Reynolds), il mutante armato capace di rigenerarsi da ogni ferita tranne quella che l’ha sfigurato, si rivolgerà agli X-Men, tra cui i già visti Colosso e Testata Mutante Negasonica, ma per fermarlo dovrà mettere insieme un gruppo che come lui non gioca secondo le regole: la X-Force, chiamata così perché suona meno sessista di X-Men. Il cambio in cabina di regia da Tim Miller a David Leitch (ex stuntman e, di recente, regista del notevole Atomica Bionda), va detto, fa un gran bene a un film che, come tutti i numeri due, una volta liberatosi dalla “regola dello spiegone” sulla genesi del supereroe di turno, preme sull’acceleratore fin dalle sue prime sequenze.



DEADPOOL

La formula è più o meno la stessa del primo Deadpool, per cui la spettacolarità tipica di un blockbuster di genere viene ibridata con la commedia attraverso massicce dosi di gag che oscillano tra trivio e metacinema, solo potenziata. Il che vuol dire un fuoco di fila di battute a rotta di collo, talvolta talmente veloci da seguirsi a fatica, in cui non viene risparmiato nessuno, compreso lo stesso protagonista/produttore (e stavolta anche co-sceneggiatore) Ryan Reynolds, sbeffeggiato più di una volta per la sua partecipazione al terribile Lanterna verde. Il risultato è una folle corsa su un’autostrada piena di sangue e scorrettezza, con il versante comico oggettivamente più in risalto rispetto a quello action. La grana è, per intenderci, quella ultrapop dei Seth Rogen e Evan Goldberg di The Preacher o di Kick-Ass, con la differenza che Deadpool 2 non si limita a parodiare un codice ma lo dileggia con la piena consapevolezza di esserne parte integrante. Il vero punto di forza del film di Leitch risiede infatti proprio nella sua natura di sequel che, almeno sulla carta, rischiava di istituzionalizzare un personaggio nato come antitesi alla forte dogmaticità del suo universo di riferimento. Il timore era che, in buona sostanza, una volta diventato adulto, Deadpool potesse perdere parte della propria carica eversiva.

Il film invece supera agilmente questo ostacolo attraverso un superamento della quarta parete ancora più insistito che in passato che, sotto la sua superficie di mero escamotage comico, nasconde una doppia riflessione sul protagonista nel suo ambire a diventare un supereroe dotato di una parvenza di etica del tutto assente nel primo film e – e questo è il risvolto più interessante della faccenda – sul suo significato in termini cinematografici. Completano il quadro un Josh Brolin perfettamente a proprio agio nei panni di questo moderno Terminator tutto d’un pezzo (del tutto antitetico alla cazzonaggine dichiaratamente pansessuale di Deadpool) che crea un curioso cortocircuito marvelliano con il Thanos di Avengers: Infinity War, la bellissima Zazie Beetz, già ammirata nella serie di culto Atlanta e qui nei panni della fortunatissima Domino, e alcuni cameo di lusso di cui nulla diremo per non rovinarne l’effetto sorpresa. Una cosa invece la si può dire senza timore di incorrere in alcun temutissimo spoiler. Non azzardatevi ad abbandonare la sala prima della fine dei titoli di coda. Rischiereste di perdere la scena post credit più divertente di sempre.
Voto 7

 

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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