Sapete tutti che ieri notte a Los Angeles, durante l’86° Notte degli Oscar, La grande bellezza di Paolo Sorrentino è stato premiato con il riconoscimento al Miglir Film Straniero. Lo sapete anche se non ve ne importava niente, perché quando un film italiano vince un Oscar è un po’ come se vincesse i mondiali di calcio: tutti devono sapere, ad ogni costo. E forse è giusto che sia così. Già prima dell’assegnazione, giornali e telegiornali non parlavano d’altro. Non degli Oscar, ma del fatto che quest’anno, in corsa per la statuetta, ci fosse un cavallo italiano, trlasciando tutto il resto. E oggi, a cose fatte, la situazione non è cambiata: tutti i pezzi usciti su quotidiani nazionali, nel titolo, hanno un richiamo a La grande bellezza. Corriere della Sera: “È Grande Bellezza a Hollywood Paolo Sorrentino vince l’Oscar“; Repubblica: “Oscar, trionfo Italia: vince La grande bellezza Sorrentino ringrazia Fellini e Maradona“; La Stampa: “La grande bellezza trionfa agli Oscar. Sorrentino ringrazia Fellini e Maradona“; Il Fatto Quotidiano: “Oscar 2014, La Grande Bellezza trionfa. Sorrentino come Fellini 50 anni dopo“. E questi sono solo alcuni. Non che ci sia nulla di male nel salutare un trionfo italiano, soprattutto in un momento difficile come quello che attraversiamo, come paese e come popolo. Ma c’è un aspetto molto irritante in questa esplosione di gioia a tutto tondo che i media ci incitano a provare ineluttabilmente e che sta rimbalzando da un capo all’altro del mondo: il discorso che Paolo Sorrentino ha rivolto alla platea del Dolby Theatre, il cosiddetto “acceptance speech” che i vincitori sono invitati a pronunciare.
E al regista partenopeo è andata anche male, perché ieri sera di discorsi toccanti ce ne sono stati diversi, da quello singhiozzato da un’emozionatissima Lupita Nyong’o è a quello più consapevole ma non meno commovente di Jared Leto, per non parlare dei ringraziamenti pronuciati da Cate Blanchett o da MatthewMcConaughey. Insomma, non la solita pappa preparata sul genere: “ringrazio la mia famiglia, gli amici e tutti i colleghi”. C’era del contenuto in quello che hanno detto, c’era professionalità, cognizione della propria condizione di artisti che si trovano su quel palco per aver contribuito a dar vita a qualcosa di bello, che fosse un’interpretazione, una sceneggiatura, dei costumi o degli effetti speciali.
Dopo un Golden Globe vinto più di un mese fa, i vari altri riconoscimenti internazionali recentemente ottenuti da La grande bellezza e un Oscar che per i media già troneggiava sul caminetto di casa Sorrentino da giorni, ci aspettavamo che due parole di inglese il regista riuscisse a pronunciarle. E invece il suo discorso, oltre a non essere stato particolarmente originale o significativo, sembrava quello di un bambino delle elementari, sia per contenuti che per conoscenza della lingua. Ma come, il tuo film è tra i cinque finalisti candidati all’Oscar e sai anche che probabilmente, quel premio, te lo porterai a casa, ma perché non dedicare un po’ di tempo a buttar giù due righe un pizzico più sentite di quel “tenchiu tu mai sorses of ispiréscion Federico Fellini, Martin Scorsese, Talking Heads e Diego Armando Maradona“?
Non siamo più negli anni Sessanta e un italiano che va a ritirare un Oscar e che fa un simile discorso, non è più buffo, né tantomeno divertente. Solo ridicolo. E non venitemi a dire che è stata l’emozione, perché Sorrentino non era emozionato, anzi: per essere uno che andava a ritirare un Oscar era fin troppo sereno. Ma soprattutto, vi siete chiesti come mai tutti gli stranieri che ieri sera si sono avvicendati sul palco dell’Academy (messicani, kenyoti, francesi… ) parlavano un inglese nettamente migliore di quello sfoderato dal regista napoletano?
E poi c’è l’aspetto peggiore: il pubblico, sia quello italiano che quello internazionale, che continua a giustificare simili atteggiamenti. Un po’ come dire che tanto, da un italiano, mica ti puoi aspettare un discorso in inglese complesso e articolato. Insomma spaghetti, pizza, mandolino, la new entry Maradona e ogni tanto un film che valica i confini nazionali, metre il suo autore, almeno in questo caso, pare abbia tutta l’intenzione di rimanere con i piedi ben incementati nel Belpaese. E forse a spiccare il volo, non ci pensa affatto. Così quel “tenchiu tu mai sorses of ispiréscion” e bla bla bla, non può che essere l’emblema di una società raffazzonata e decadente, una società non poi così diversa dalla Roma appassita in cui Jep Gambardella è re.
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