Mai così vicini

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Dopo una delle entrate in scena migliori di sempre in The Wolf of Wall Street (interpretava il padre del “lupo” Jordan Belfort) Rob Reiner torna dietro la macchina da presa per dirigere una commedia romantica dalla confezione pressoché impeccabile, sebbene non esattamente originale, avvalendosi di due protagonisti di una certa levatura come Michael Douglas e Diane Keaton, qui al loro primo film insieme. L’autore di titoli memorabili quali Stand by Me – Ricordo di un’estate (1986), La storia fantastica (1987), Harry ti presento Sally (1989), Misery non deve morire (1990) torna ad affrontare gioie e dolori della terza età in Mai così vicini, dopo il poco riuscito Non è mai troppo tardi, del 2007 (incentrato su una coppia di amici, Jack Nicholson e Morgan Freeman, entrambi con un piede nella fossa che uniscono le loro solitudini per togliersi in pochi giorni tutti gli sfizi che nella vita non sono riusciti a levarsi). Fortunatamente questa volta il tono è un po’ più leggero, e la morte non viene quasi mai contemplata, se non in qualche caustica battuta.



Douglas, settant’anni a settembre e due Oscar sul comodino (uno da produttore per Qualcuno volò sul nido del cuculo e uno da protagonista per lo squalo della finanza Gordon Gekko in Wall Street di Oliver Stone), è Oren Little, un agente immobiliare cinico e detestabile. Suo unico interesse è vendere un’ultima casa e andare in pensione in santa pace. I suoi piani però verranno scombinati dal figlio (Scott Shepherd) che, inaspettatamente, gli lascia la nipotina (Sterling Jerins), della cui esistenza non sapeva nulla. Inutile dire che Oren come nonno è una mezza calzetta, ed è qui che entra il personaggio di Diane Keaton (anche lei Premio Oscar, per Io e Annie di Allen). Davanti alle evidenti lacune e alla freddezza dell’uomo, sarà infatti la vicina di casa Leah a entrare in azione, cercando di dare alla piccola l’affetto e le attenzioni di cui ha bisogno. Nonostante tra l’insopportabile Oren e l’amorevole Leah in un primo momento si instauri una banale antipatia reciproca, pian piano i due inizieranno a guardarsi con occhi diversi… Poi il trionfo dell’amore, e vissero tutti felici e contenti e queste cose qui.

Dalle poche righe di trama si evince come l’idea alla base del film sia tutt’altro che originale, siamo d’accordo. Un titolo su tutti torna prepotentemente, ed è quel piccolo capolavoro umano e sociale che risponde al titolo di Qualcosa è cambiato, pellicola che è valsa a Jack Nicholson il terzo Oscar da (misantropico) protagonista. Guardacaso lo sceneggiatore, Mark Andrus, è lo stesso di Mai così vicini. In effetti il personaggio che nel film è interpretato da Douglas sembra cucito addosso a Nicholson, tanto da far pensare che il ruolo di Oren originariamente fosse stato scritto proprio per lui. Elucubrazioni a parte, è interessante vedere come nei lavori di Reiner siano sempre i personaggi femminili ad essere più completi e risolutivi (la Meg Ryan di Harry ti presento Sally la dice lunga in proposito) mentre quelli maschili danno sempre il la a una situazione di disordine dalla quale poi non sono in grado di tirarsi fuori da soli. Mai così vicini, nonostante la prevedibilità degli eventi e la reiterazione di situazioni già viste e assimilate dal pubblico mainstream (da Voglia di tenerezza a Tutto può succedere) rimane una commedia ben scritta e interpretata (ahinoi, non altrettanto ben doppiata, ma questa è storia vecchia). Reiner, con ostinata fermezza, continua a tornare sulla materia che gli è più congeniale, affrontando ancora una volta la nascita e l’evoluzione delle relazioni e il loro andamento altalenante, le solitudini che si incontrano e le complicazioni che gli individui preferiscono crearsi piuttosto che mettersi in gioco e rischiare di rimanere ancora stupiti da quello che la vita ha da offrire. Anche a settant’anni e anche se si è burberi e inavvicinabili come Oren.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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