Ant-Man

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Alcuni potranno storcere il naso di fronte al fatto che un film a tema supereroi possa essere una commedia, ma sia ben chiaro che il processo di ridefinizione dell’universo Marvel passa anche – anzi, in realtà soprattutto – da qui.
Il risultato commerciale inferiore alle (altissime) aspettative di Avengers: Age of Ultron, unito all’enorme successo avuto da opere meno irreggimentate come Guardiani della galassia e Big Hero 6, devono aver spinto la casa madre a riflettere sulla necessità di spostare l’asse del discorso da una mitologia divenuta via via sempre più complessa e oramai quasi ad esclusivo appannaggio dei fan più oltranzisti (leggi pure ‘nerd’) verso una semplificazione, ottenuta in primis declinando il supereroe in maniera molto meno glamour rispetto agli standard ai quali ci ha abituato, ad esempio, un Tony Stark.
Ecco quindi che il protagonista di Ant-Man, lo scassinatore Scott Lang (Paul Rudd), non entra in possesso del suo superpotere attraverso l’esposizione a radiazioni o l’essere sopravvissuto a un qualche incidente mortale, bensì in seguito al furto di una strana tuta in grado di miniaturizzarlo. In un colpo solo la diegesi supereroistica si affranca dunque da tutto il carico di responsabilità e problemi che, da Peter Parker a Bruce Banner, sono da sempre lo scomodo bagaglio di cui qualsiasi alter ego è costretto a farsi carico.



Ovvio che un tale scarto di senso consenta un ricorso più massiccio a una forma di autoironia che sebbene, in piccole dosi, fosse già presente in tutti i film dell’epopea Marvel, in Ant-Man è finalmente libera di deflagrare in numerosi momenti di comicità pura.
Non appaia come un caso, in tal senso, la scelta, per il ruolo di protagonista, di un attore di area comedy come Paul Rudd (che tra l’altro convince oltre ogni più rosea aspettativa) o di Edgar Wright (L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz) in veste di sceneggiatore.
Ant-Man nasce infatti, nel lontano 2006, come un personale progetto di quest’ultimo. Il suo coinvolgimento si è progressivamente ridotto in corso d’opera a causa di una serie di divergenze creative con la casa di produzione, fino alla decisione di abbandonare la regia e lasciare il testimone a Peyton Reed (Ti odio, ti lascio, ti…, Yes Man), altro autore di commedie, seppure meno connotante rispetto a Wright in termini stilistici.
Se a questo aggiungiamo la notizia che vuole la coppia Daley/Goldstein (in sala questa settimana con il divertentissimo Come ti rovino le vacanze) già al lavoro sul prossimo Spider-Man, appare evidente come sia ufficialmente in atto un’opera di ridimensionamento del classico gigantismo tipico dei film di supereroi, culminato proprio nel dittico dedicato agli Avengers da Joss Whedon.
Curioso, ma solo fino a un certo punto, che questo ridimensionamento semantico si manifesti attraverso un altro processo di ridimensionamento, stavolta fisico, che porta il supereroe meno cool di sempre a rimpicciolirsi fino al punto di cavalcare una formica.

Detto della piccola rivoluzione copernicana in atto in casa Marvel, passiamo all’analisi del film in sé, che è godibilissimo, forse uno dei migliori dai tempi dei primi due Spider-Man di Raimi. Di sicuro uno di quelli scritti meglio.
Nonostante il passaggio di consegne di cui si accennava poc’anzi, la mano di Edgar Wright si sente comunque e neanche poco, soprattutto per quanto riguarda le soluzioni comiche (Michael Peña che racconta la genesi del colpo in un velocissimo flashback in cui rifà le voci di tutti i personaggi è impagabile) e, più in generale, per l’eccellenza dei dialoghi.
Tutto ciò senza perdere nulla in termini di coerenza con il complesso corpus marveliano (il continuum narrativo con gli altri episodi della serie è garantito dall’incontro/scontro di Ant-Man con gli Avengers), né cadere in alcun modo nella tentazione di parodiare un genere dotato di codici così rigorosi e ben definiti.
Piace inoltre che il processo di snellimento testuale passi anche attraverso una riduzione del minutaggio, che qui non supera le due ore e conferisce al film una compattezza strutturale che in altri casi tendeva a latitare.
E piace un cast che sembra frutto di scelte apparentemente poco interessante all’accumulo di nomi di punta un tanto al chilo e che, oltre a un ritrovato Michael Douglas, ha il merito di mostrarci Evangeline Lilly finalmente libera dalle orecchie a punta che sfoggiava nella trilogia de Lo Hobbit e soprattutto un Corey Stoll privo della ridicola parrucca che – vai a capire perché – è costretto a indossare nella serie The Strain.
In definitiva Ant-Man rappresenta una piacevolissima sorpresa e non ci stupiremmo affatto se riuscisse a surclassare nei risultati quel Captain America: Civil War che uscirà il prossimo anno e al quale la scena che segue i titoli di coda (con i film della Marvel ormai ricordarlo è pleonastico, ma aspettate che si accendano le luci prima di abbandonare la sala) rimanda in modo piuttosto chiaro.

Voto 7

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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