22 Jump Street

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Curioso come, sebbene a fine luglio e in un paese come il nostro in cui sulla metà delle porte delle sale cinematografiche campeggia la scritta “Chiusura estiva”, questo weekend venga dato uno scossone inaspettato alla programmazione cinematografica con l’arrivo in sala di due film decisamente interessanti e che hanno in comune qualcosa in più della sola data di uscita. Si tratta di Anarchia – La notte del giudizio, di cui ha esustivamente parlato il nostro Fabio Giusti, e di 22 Jump Street, sequel di 21 Jump Street diretto nel 2012 da Phil Lord e Chris Miller (Piovono polpette, The Lego Movie) nel quale ritroviamo lo stesso duo di registi e la stessa coppia di protagonisti, Channing Tatum e Jonah Hill, del primo esilarante episodio. Non si tratta solo di due sequel, ma di due sequel figli di due primi capitoli che hanno portato qualcosa di nuovo sulla scena cinematografica, sul cui successo in pochi avrebbero scommesso e che invece si sono rivelati anche più riusciti delle rispettive prime parti.



La dura legge del sequel impone infatti che gli episodi a venire di un franchise siano come perseguitati da una sorta di maledizione che li rende quasi sempre peggiori dei loro fratelli maggiori (con le dovute eccezioni, si intende: Terminator 2, Aliens, Il Padrino – Parte II, Il Cavaliere Oscuro, Il secondo Spider-Man di Sam Raimi, Star Wars: Episodio V – L’impero colpisce ancora, Toy Story 2 e qualche altro). Nel caso di 22 Jump Street, poi, la faccenda è stata resa ancora più complicata perché, come affermato più volte dagli stessi personaggi, la cornice e l’evolversi degli eventi sono in gran parte identici a quanto già visto due anni fa. I due colleghi Schmidt e Jenko vengono mandati nuovamente sotto copertura in un college per fermare il traffico di una nuova droga che ha portato alla morte di una studentessa: non la holy shit, quella era nel primo episodio, ma la whyphy, mix di sostanze sintetiche altrettanto pericoloso e letale.
La coppia di poliziotti, di fatto, cambia solo campo d’azione spostandosi dal liceo al college, e quartier generale (qualcuno s’è ricomprato la kitschissima chiesa coreana Aroma di Cristo e i nostri sono costretti a trasferirsi dall’altra parte della strada, abbandonando il civico 21 per il 22). Il resto è più o meno uguale al film del 2012.

Ma allora che cos’è che rende 22 Jump Street, che è di fatto una copia carbone annunciata del capitolo precedente, così riuscito? Fondamentalmente il talento dei due registi e quello dei due protagonisti, in perfetta sintonia tra loro (se Jonah Hill, che qui è anche cosceneggiatore, dopo L’arte di vincere e The Wolf of Wall Street è ormai un cavallo sicuro, quello che stupisce ancora una volta è il talento comico di Tatum, in grado di reggere il confronto con il suo istrionico compagno di avventura), e la capacità di utilizzare la storia come espediente per concedere ai due attori il giusto spazio per mettere in scena le loro buffe e stralunate gag. In pellicole del genere poi, dove la causticità e l’immediatezza di una battuta sono saldamente ancorate al linguaggio, è normale che in fase di doppiaggio molto vada a perdersi; ciononostante il film risulta godibilissimo anche in italiano (noi lo abbiamo visto così). Ma è l’elemento bromance, volutamente calcato, tanto da rappresentare una sottotrama a sé, unito al nonsense e a una valanga di citazioni cinematografiche più o meno alte (L’attimo fuggente, Benny Hill, Terminator, Io e Annie…) a rendere 22 Jump Street un capolavoro di insana demenzialità. Dalle confraternite al football, dai professori in stile John Keating allo spring break, i miti e i luoghi della cultura studentesca a stelle e strisce ne escono fatti a pezzi.

Arrivati alla fine, è lecito domandarsi se ci sarà un terzo episodio. Ma è difficile prendere in contropiede due come Lord e Miller, che in titoli di coda da antologia soddisfano appieno l’interrogativo.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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