French Connection

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Alla fine degli anni Settanta Marsiglia si ritrova ad essere il centro nevralgico di un contrabbando di eroina che, dal Vecchio Continente, arriva fino agli Stati Uniti.
La città è letteralmente in mano a un gruppo mafioso (la French Connection del titolo appunto) che controlla il business della droga in maniera pressoché incontrastata, grazie anche al posizionamento strategico di alcuni suoi uomini all’interno delle istituzioni.
Il giovane e integerrimo magistrato Pierre Michel (Jean Dujardin) sembra essere l’unico disposto a opporsi in maniera decisa allo strapotere dell’intoccabile padrino Gaëtan Zampa (Gilles Lellouche) e a pagarne le conseguenze.
Inviso a colleghi e superiori per lo zelo con cui persegue il suo obiettivo, l’uomo arriva a sacrificare, trascurandoli, anche gli affetti familiari in nome di una missione che non considererà compiuta fino a quando Zampa non verrà assicurato alla Giustizia.



Progetto ambizioso questa opera seconda di Cédric Jimenez , qui anche autore della sceneggiatura insieme alla sua compagna Audrey Diwan.
Il regista infatti, forte di un budget importante (circa 21 milioni di euro) e di due star (con questo film Dujardin fa il suo ritorno in patria dopo le trasferte americane con Scorsese e Clooney seguite al trionfo di The Artist) prova a rinverdire i fasti del polar classico di Melville e Deray premurandosi però di ibridarlo sia con suggestioni mutuate dal moderno noir a stelle e strisce – basti pensare al confronto a distanza tra i due protagonisti e al loro incrociarsi fisicamente solo un paio di volte che non può non riportare alla mente Heat di Michael Mann – che con il cinema cosiddetto civile.
Quest’ultimo elemento, in particolare, è assicurato dal fatto che le vicende narrate siano basate su eventi realmente accaduti e che il Giudice Michel rappresenti, per i nostri cugini d’oltralpe, un simbolo di rettitudine morale molto vicino a quanto incarnato in Italia da figure come Falcone e Borsellino.
L’idea – vincente, seppur rischiosa, sulla carta – si rivela però più insidiosa del previsto una volta trasferita su pellicola e il film palesa, quasi subito, alcune crepe.
Al netto di una perfetta ricostruzione storica della Marsiglia dell’epoca e delle ottime performance degli attori coinvolti, il principale problema di French Connection è uno script che, forse un po’ schiavo del crossover di generi di cui si parlava poc’anzi, si mostra perennemente indeciso su quale strada prendere, finendo col diluire troppo la tensione sul versante noir per offrire allo spettatore una cronistoria, a tratti anche avvincente ma nel complesso un po’ anodina, dei fatti.
Non aiuta una regia priva di guizzi che cade spesso in lungaggini di stampo para-televisivo e che sembra adagiarsi troppo sulla presenza scenica dei suoi due magnifici protagonisti, elemento quest’ultimo che serve al film per portare a casa il risultato.

Perché sarebbe ingeneroso parlare di French Connection come di un progetto non riuscito in toto.
Il rapporto dicotomico tra eroe e villain, ad esempio, funziona bene, grazie a una caratterizzazione molto poco stereotipata dei due antagonisti nel suo mettere in evidenza luci e ombre di entrambi (la sete di giustizia di Michel diventa ben presto un’ossessione che lo aliena del tutto dalla dimensione familiare mentre il boss Zampa viene, in più di una scena, descritto come un padre amorevole e attento) così come funziona Marsiglia, protagonista quasi assoluta del film.
Jimenez è bravo a trasferire in immagini quel senso di romantico pericolo che da sempre connota il capoluogo della Provenza come una delle città francesi più iconiche da un punto di vista cinematografico e letterario e che si respirava appieno, ad esempio, nella trilogia marsigliese di Jean-Claude Izzo.
Laddove invece il regista riesce meno bene è nel combinare cinema di genere e pretese autoriali con la stessa fluidità mostrata nel recente passato da Olivier Marchal negli ottimi 36 Quai des Orfèvres e L’ultima missione o, per guardare un po’ anche a casa nostra, da Michele Placido in Romanzo criminale e nel bellissimo e sottovalutato Vallanzasca – Gli angeli del male.

Voto 6

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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