Lady Bird

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Greta Gerwig e un film tutto suo. Dopo aver co-diretto insieme a Joe Swanberg, nel 2008, Nights and Weekends, con Lady Bird la sceneggiatrice, attrice e ora anche regista, da qualche anno protagonista della scena indie del cinema americano, compie il grande salto. E lo fa dirigendo un racconto di formazione esistenziale e malinconico e al contempo leggero, un Giovane Holden figlio della crisi economica ambientato in una città ruvida come Sacramento e interamente declinato al femminile.
Siamo nel 2002, e Christine (Saoirse Ronan), studentessa che frequenta l’ultimo anno di un liceo cattolico, rifiuta il nome che le è stato dato, per usarne uno che si è scelto: Lady Bird. Odia Sacramento, la città in cui vive e dove non succede nulla, e sogna New York e le università della East Coast, anche se i suoi voti non sono sufficientemente alti per accedervi. Nella lotta per affermare le proprie scelte future, la asseconda il padre disoccupato (Tracy Letts), ma non la madre infermiera (Laurie Metcalf). In un contesto di incertezze, economiche, sociali e umane, Christine e la sua indole polemica si barcamenano così tra il rapporto con l’amica del cuore, quello piuttosto complicatocon mamma Marion e le prime deludenti esperienze sentimentali.



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Si è imposto in modo piuttosto netto all’interno della stagone dei premi questo Lady Bird, con due Golden Globe già vinti – Miglior Commedia e Migliore Attrice in una Commedia alla Ronan – e con cinque candidature agli Oscar (tra cui Miglior Film e Miglior Regia), nonostante sia una delle storie più semplici, archetipiche e collaudate all’interno di un genere piuttosto battuto come il coming of age. E il motivo di questo successo, è da ricercare nell’esuberante spontaneità e freschezza con cui Greta Gerwig è riuscita a descrivere e a far vivere le situazioni ai suoi personaggi. C’è una libertà emotiva e narrativa dietro la storia di Lady Bird, che la fa essere diversa dalla maggior parte dei ritratti adolescenziali che vediamo nei teen movie e, soprattutto, un cambio di prospettiva che consiste nel non far combaciare la crescita della protagonista e il suo realizzarsi attraverso la conquista del ragazzo giusto (come accadeva, ad esempio, in Bella in rosa). I tempi sono maturi dunque perché arrivi Christine a mostrare che il passaggio dall’adolescenza all’età adulta non deve necessariamente passare per l’amore, ma per esperienze più realistiche e non meno impegnative.

In un simile contesto, dove quel che conta è la ricerca della propria identità e di un riscatto da quel senso di oppressione sociale che attanaglia lei e la sua famiglia, è giusto che Chrirstine/Lady Bird non sia affatto perfetta: brillante sì, ma non sempre simpatica, a volte goffa, sicuramente supponente e determinata. Brava Saoirse Ronan a connotare il personaggio in questo senso, ancora di più lo è Laurie Metcalf nell’incarnare una figura di madre costretta a combattere con una figlia che, caratterialmente, è uguale a lei. E poi c’è la Gerwig, che dimostra ancora una volta di essere una sceneggiatrice matura e brillante. Certo, da qui a candidarla per la Miglior Regia… È un regalo eccessivo, quello concessole dall’Academy: nell’anno degli scandali sessuali che hanno coinvolto Hollywood, va anche bene voler inserire una donna tra i nominati in quella categoria ma, registicamente parlando, il Detroit di Kathryn Bigelow appartiene a un altro livello di complessità e di preparazione tecnica che Greta Gerwig al momento non possiede.

Voto 7

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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