Festival di Roma 2014 – Giorno 2

Di Fabio Giusti
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LO STRAORDINARIO VIAGGIO DI T.S. SPIVET di JEAN-PIERRE JEUNET

A chiudere la serata di ieri, due pellicole incentrate sulle vicende di due adolescenti, entrambe per Alice nella città: Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet di Jean-Pierre Jeunet e X+Y di Morgan Matthews. La prima racconta la storia di un bambino di dieci anni che viaggia attraverso gli States per andare a ritirare un premio per la sua invenzione straordinaria a Washington DC. Jean-Pierre Jeunet recupera lo stile del suo celebre Amélie con una storia dal cast eccezionale (Helena Bonham Carter su tutti), ma pecca nel voler scatenare la lacrima facile e finisce per spingere un po’ troppo sul buonismo. Il mondo visto dagli occhi di un bambino genio può essere effettivamente straordinario, ma il tutto risulta un po’ troppo ricoperto di melassa. I personaggi, dal rude papà cowboy alla stramba mamma fissata coi coleotteri, sono sì affascinanti per la prima mezz’ora ma a un tratto scadono nella macchietta prevedibile, e l’happy ending a tutti i costi sembra suggerire che Jeunet abbia perso la vena acidula e un po’ uncorrect del passato.



Voto 6

X+Y di MORGAN MATTHEWS

X+Y

X+Y

Con X+Y invece siamo alle prese con il dramma poco credibile su un ragazzo inglese, Nathan (quell’Asa Butterfield protagonista di Hugo Cabret) affetto da autismo nonché genio della matematica. Grazie a sua madre (Sally Hawkins) e a un insegnante che utilizza metodi non convenzionali (Rafe Spall), Nathan riuscirà a vincere un posto nella nazionale inglese alle Olimpiadi della Matematica (IMO), esperienza che gli cambierà del tutto la vita. Poco credibile perché la storia, pur avvalendosi di un cast di ottimo livello, utilizza un tema delicato come quello dell’autismo per focalizzarsi in realtà sulle ossessioni con le quali spesso coloro che hanno doti intellettuali particolarmente sviluppate, sono cotretti a convivere. In una vicenda portata avanti con tanto rigore (che in fondo, trattandosi di matematica, ci può anche stare), però si fa fatica a trovare il senso ultimo del film, attorno al quale il regista Morgan Matthews gira attorno, senza centrarlo mai davvero. Se avete visto  Still Life, riconoscerete sicuramente l’inglesissimo Eddie Marsan, qui nei panni di uno degli insegnanti di Nathan.

Voto 5

STILL ALICE di RICHARD GLATZER e WASH WESTMORELAND

Still Alice

Una maciata di ore di sonno (ma in fondo di che ci lamentiamo, siamo solo all’inizio!), prima del ritorno in sala stamattina con un film, finalmente, con la effe maiuscola: Still Alice. Altra pellicola che arriva dritta da Toronto, il toccante dramma diretto dal cineasta indipendente Richard Glatzer (Quinceañera) e Wash Westmoreland ci sbattono davanti agli occhi la storia di una professoressa universitaria di Linguistica che si trova improvvisamente a dover convivere con una forma precoce di Alzheimer. Affrontando un tema profondamente toccante senza mai ricorrere a mezzucci da lacrima facile, il film pesa per un buon 90% sulle spalle della protagonista, la superba Julianne Moore che riesce a infondere al suo personaggio un rigore e una fragilità commoventi nel cercare di rimanere aggrappata con le unghie e con i denti alla persona che era prima di ammalarsi. A supportare quella che rimarrà certamente come una delle sue performance più intense, ci sono due comprimari, altrettanto in parte come Alec Baldwin nei panni del marito di Alice e (udite, udite) Kristen Stewart, che nel ruolo della figlia minore della donna dimostra un talento che abbiamo cercato a lungo e che sta finalmente venendo a galla.

Voto 7

EDEN di MIA HANSEN  LOVE

Altro giro, altro film. Eden era, almeno sulla carta, un’opera suscettibile di favorire aspettative piuttosto alte. Completamente incentrato sul French Touch, la scena elettronica francese che infiammò i club di mezzo mondo a cavallo tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, il film ha il vantaggio di essere raccontato da chi, quel momento “storico”, lo ha realmente vissuto, ossia Sven Hansen Løve, fratello dell’autrice e qui co-sceneggiatore.
Nei fatti, invece, la giovane regista spreca l’occasione di girare una versione d’oltralpe di quanto fatto da Michael Winterbottom per la scena inglese anni Ottanta con 24 Hours Party People e un po’ si perde nei meandri di in un apologo generazionale più concentrato sul versante esistenziale che non sul (vasto) materiale musicale a disposizione.
Gli stessi Daft Punk, citati più volte nel film e presenti in colonna sonora con diversi brani, risultano essere più delle figurine chiamate a garanzia della genuinità filologica del prodotto piuttosto che le lenti attraverso le quali analizzare il fenomeno del French Touch.
Certo, Eden è ben girato e ha il pregio di essere uno dei pochissimi film in cui siano presenti (numerose) scene in discoteca che non sanno di posticcio ed è evidente da subito come, dietro al progetto, ci sia gente che ha una reale conoscenza dell’argomento trattato.
Resta comunque un’opera abbastanza irrisolta non supportata nè dal cast (gli attori sono tutti irrimediabilmente antipatici) né da una durata leggermente eccessiva.

Voto 5
L’INCONTRO CON JOE DANTE

Dopo aver presentato la divertente commedia horror Burying the Ex a Venezia, Joe Dante è tornato in Italia. Il regista di Gremlins, Piranha, Small Soldiers e The Hole è al Festival di Roma, dove ieri sera ha presentato, da storico fan di Bava quale è sempre stato, il restauro digitale di Operazione Paura, primo film della retrospettiva Danze macabre. Il cinema gotico italiano, in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia e la Cineteca Nazionale. Lo abbiamo incontrato questa mattina, mentre partecipava ad un incontro dal titolo Joe Dante e il cinema gotico e ci ha raccontato qualcosa di molto interessante su come, negli anni Sessanta, i film di genere che venivano dall’Italia, subivao una sorta di americanizzazione che serviva, secondo i distributori, a garantire ai titoli un mercato più ampio.

Era molto frequente negli Stati Uniti fare in modo che quei film non sembrassero italiani. Molti di quelli che hanno visto in originale La maschera del demonio, che in America è diventato Black Sunday credevano che fosse un film inglese. A quei tempi i distributori credevano che gli spettatori non volessero guardare film horror provenienti da paesi che non fossero di lingua inglese, ma Black Sunday segnò un vero e proprio punto di svolta. E quando gli seguì I tre volti della paura, distribuito all’estero con il titolo di Black Sabbath, questo genere di film iniziò a diventare popolare, cosa che  consentì a Mario Bava di entrare in contatto con gli Studios americani che decisero di cofinanziare alcuni dei suoi progetti.

 

Di un film in particolare, La ragazza che sapeva troppo, da molti considerato il primo giallo ll’italiana della storia, furono realizzate due versioni, una italiana e una inglese. Alla versione inglese il titolo è stato cambiato in The Evil Eye. Era un film molto intelligente ma per qualche strano motivo, la versione americana è del tutto scomparsa ed è stata rimpiazzata dalla versione italiana, non altrettanto buona a mio parere.

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Fabio Giusti

Da sempre convinto che, durante la proiezione di un film, nulla di brutto possa accadere, ha un passato da sceneggiatore, copywriter e altre prescindibili attività. A parte vedere film fa ben poco.

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