Il racconto dei racconti – Tale of Tales

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MATTEO GARRONE PRESENTA ALLA STAMPA IL RACCONTO DEI RACCONTI – TALE OF TALES



Ci aveva già provato Francesco Rosi nel 1967 con C’era una volta, a portare un po’ di Lo cunto de li cunti al cinema. Da sempre considerata opera minore del regista di Salvatore Giuliano e Le mani sulla città forse perché analizzata all’interno del suo percorso impegnato, la pellicola con Sophia Loren e Omar Sharif rappresentava invece un intermezzo leggero, un esperimento atipico nella filmografia engagé del regista napoletano. A distanza di quasi cinquant’anni, ci pensa Matteo Garrone ad adattare per il grande schermo parte delle novelle contenute ne Lo cunto de li cunti, overo lo trattamento de’ peccerille, raccolta di cinquanta fiabe in dialetto napoletano scritte da Gianbattista Basile e pubblicate postume tra il 1634 e il 1636, intravedendone le grandi potenzialità sia cinematografiche che narrative. Ed è quantomeno curioso che Il racconto dei racconti arrivi nelle sale (e In Concorso a Cannes) a pochi mesi di distanza dal Maraviglioso Boccaccio tavianesco, quasi a voler ribadire la fascinazione mai sopita dei nostri autori nei confronti delle storie di impianto novellistico-fiabesco della tradizione letteraria popolare.

Girato tra Toscana, Puglia e Sicilia in location da fiaba di province senza tempo, Il racconto dei racconti rende omaggio all’incomparabile ricchezza visiva e immaginifica delle fiabe di Basile e al suo funambolico esercizio letterario (nonostante il film sia girato in inglese), mantenendo vive tutte quelle caratteristiche quali la crudeltà, l’efferatezza, l’ossessività nei confronti del mostruoso, del deforme e del diverso che si sono rivelate essere strumenti preziosi nella penna dell’autore napoletano. Matteo Garrone, nell’adattare tre delle cinquanta storie contenute nel Pentamerone al suo modo unico e personalissimo di fare cinema, consente loro di svilupparsi autonomamente e di sfiorarsi solo in un paio di occasioni (un funerale e un’incoronazione). Tre sono i regni immaginifici di Tale of Tales, tutti abitati da re e regine, principi e principesse, orchi, maghi, saltimbanchi, cortigiani, vecchie lavandaie e altre creature più o meno fantastiche. In questi non luoghi, un re libertino e dissoluto (Vincent Cassel) tenta di sedurre un’anziana donna, una principessa (la giovanissima e sorprendente Bebe Cave) data dal padre (Toby Jones) in sposa ad un orribile orco e una regina ossessionata dal desiderio di un figlio (Salma Hayek) e disposta a tutto pur di averlo. Tre donne protagoniste, in fasi diverse dell’esistenza (giovinezza, maturità, vecchiaia) diventano così le madrine di un cosmo indefinito e poliedrico, esaltato dalla magia e dal sogno.

Prendendo solo apparentemente le distanze dal suo cinema precedente, Garrone in realtà racchiude nel suo ultimo film, come in una sintesi estrema, quelle bizzarre tematiche che hanno connotato i suoi lavori precedenti: l’ossessione del possesso (L’imbalsamatore) della deformità oltre i limiti del morboso (Primo Amore), il male assoluto (Gomorra) la distorsione della realtà (Reality), tutti elementi che ritroviamo, utili a definirne l’universo vario e multiforme, nel Racconto dei racconti.
Nei tableau vivant che il regista romano mette in scena (con l’aiuto dello storico direttore della fotografia di Cronenberg Peter Suschitzky, che compie un lavoro assolutamente straordinario), oltre agli evidenti echi felliniani e bergmaniani, ci sono la vivacità e l’orrorifico dei dipinti di Goya, le atmosfere di tanti film di Mario Bava, gli effetti speciali che strizzano l’occhio a quelli creati da Sergio Stivaletti e Carlo Rambaldi e tutta quell’aura di artigianalità che un tempo abitava il fantasy nostrano e che si è andata perdendo nel corso degli anni, soppiantata da Signori degli Anelli e Troni di spade.

Ad intaccare l’idillio del Racconto dei racconti allora, ci pensa la dilatazione temporale, elemento di cui si inizia ad avvertire la presenza verso metà film e che arrivava puntuale anche nel bel mezzo di Reality, quando l’occhio dello spettatore si era ormai abituato alle straordinarie mirabilie visive con le quali Garrone è solito incantare. E’ a questo punto che si ha il tempo di rendersi conto della mancata empatia con i personaggi e della non identificazione con questi, forse a causa di quella quarta parete di plexiglass impossibile da buttare giù, che preserva e custodisce quel mondo fantastico senza permettere a nessuno di entrare.O di uscirne.

Voto 7,5

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Carolina Tocci

Giornalista freelance e blogger, un giorno le è venuta l'idea di aprire questo sito. Scrive di cinema e gossip e nel buio di una sala cinematografica si sente a casa.

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